La camera in attesa

a cura di Daniela Marro

Da allora le visite si sono diradate. La vecchia mamma inferma, guardando fiso il bracciolo del seggiolone, conta i giorni che son passati dall’ultima visita; ed è curioso, che tanto per lei, quanto per le tre figliuole con la fronte corrugata, questi giorni s’assommino e si facciano troppi, mentre per Cesarino che non torna, il tempo non passa mai; è come se fosse partito jeri, Cesarino, anzi come se non fosse partito affatto, ma fosse solo uscito di casa e dovesse rientrare da un momento all’altro, per sedersi a tavola con loro e poi andare a dormire nel suo lettino lì pronto.

             Il crollo è dato alla povera mamma dalla notizia che Claretta s’è rifatta sposa.

             Era da attendersela, questa notizia, poiché già da due mesi, Claretta non si faceva più vedere. Ma le tre sorelle, meno vecchie e perciò meno deboli della mamma, s’ostinano a dire di no, che questo tradimento non se l’aspettavano. Vogliono a ogni costo resistere al crollo, esse, e dicono che Claretta s’è fatta sposa con un altro, non perché Cesarino sia morto ed ella non abbia perciò veramente nessuna ragione più d’aspettarne ancora il ritorno, ma perché dopo sedici mesi s’è stancata d’aspettarlo. Dicono che la loro mamma muore, non perché il nuovo fidanzamento di Claretta le abbia fatto crollare l’illusione sempre più fievole del ritorno del suo figliuolo, ma per la pena che il suo Cesarino sentirà, al suo ritorno, di questo crudele tradimento di Claretta.

             E la mamma, dal letto, dice di sì, che muore di questa pena; ma negli occhi ha come un riso di luce.

             Le tre figliuole glieli guardano, quegli occhi, con invidia accorata. Ella, tra poco, andrà a vedere di là se lui c’è; si leverà da quest’ansia della lunghissima attesa; avrà la certezza, lei; ma non potrà tornare per darne l’annunzio a loro.

             Vorrebbe dire, la mamma, che non c’è bisogno di quest’annunzio, perché è già certa lei che lo troverà di là, il suo Cesarino; ma no, non lo dice; sente una grande pietà per le sue tre povere figliuole che restano sole qua e hanno tanto bisogno di pensare e di credere che Cesarino sia ancora vivo, per loro, e che un giorno o l’altro debba ritornare; ed ecco, vela dolcemente la luce degli occhi e fino all’ultimo, fino all’ultimo vuol rimanere attaccata all’illusione delle tre figliuole, perché anche dal suo ultimo respiro quest’illusione tragga alito e seguiti a vivere per loro. Con l’estremo filo di voce sospira:

             – Glielo direte che l’ho tanto aspettato…

             Nella notte i quattro ceri funebri ardono ai quattro angoli del letto, e di tratto in tratto hanno un lieve scoppiettìo, che fa vacillare appena la lunga fiamma gialla.

             Tanto è il silenzio della casa, che gli scoppiettii di quei ceri, per quanto lievi, arrivano di là alla camera in attesa, e quella candela ingiallita, da sedici mesi confitta sul trifoglio della bugia, quella candela derisa dalle due figurine smorfiose della scatola di fiammiferi, ad ogni scoppiettìo pare che abbia un sussulto da cui possa trar fiamma anche lei, per vegliare un altro morto qui, sul letto intatto.

             È per quella candela una rivincita. Difatti, quella sera, non è stata cambiata l’acqua della boccetta, né tratta dal sacchetto e stesa sulle coperte rimboccate la camicia da notte. E segna la data di jeri il calendario a muro.

             S’è arrestata d’un giorno, e pare per sempre, nella camera, quell’illusione di vita.

             Solo il vecchio orologio di bronzo sul cassettone séguita cupo e più sgomento che mai a parlare del tempo in quella buja attesa senza fine.

Tratto da: Luigi Pirandello, La camera in attesa, in Candelora, Milano, Mondadori, 1962, pp. 24-33.

Luigi Pirandello

Candelora

Nota generale al testo Bibliografia critica
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arrivano di là alla camera in attesa


Il tòpos letterario è stato indagato in maniera esaustiva da Emilio Giordano (cit. in bibliografia), che ha individuato una fitta trama di richiami e rimandi a un intertesto davvero interessante. A partire dal fondamentale lavoro di Giovanni Macchia (cit. in bibliografia), lo studioso ha delineato una serie di riscontri testuali all’interno dell’opera di Pirandello: “Vexilla regis…” (1897), La fede (1906), Pena di vivere così (1920), I piedi sull’erba (1934), Scialle nero (1904), Felicità (1911), La casa dell’agonia (1935), Il dovere del medico (1910), Il lume dell’altra casa (1909), Donna Mimma (1917), oltre ai testi già richiamati in proposito. Numerosi gli altri autori citati: Charles Dickens, Grandi speranze (1860-1861), Il circolo Pickwick (1837-1839), David Copperfield (1849-1850); Henri James, Owen Wingrave (1893), L’altare dei morti (1895), Il cantuccio felice (1908), Il senso del passato (1915); Theophile Gautier, La caffettiera (1831); G. Rodenbach, Bruges la morta (1892); Rainer Maria Rilke, I quaderni di Malte Laurids Brigge (1910); Alberto Savinio,  La casa ispirata (1925); Infanzia di Nivasio Dolcemare (1941); Poltrondamore (1945), Paterni mobili (1945); Dino Buzzati, Il deserto dei Tartari (1940); Goffredo Parise, L’odore del sangue (1979); Gabriel Garcìa Marquez, L’amore ai tempi del colera (1985), Spaventi d’agosto (1980); Elsa Morante, Menzogna e sortilegio (1948), La Storia (1974), Aracoeli (1982); Stefano D’Arrigo, Horcynus Orca (1975), Cima delle nobildonne (1985); Thomas Mann, I Buddenbrook (1901), Tonio Kröger (1903).

che l’ho tanto aspettato…


Si propone un’attività di ricerca, documentazione ed elaborazione multimediale in modalità di cooperative learning: con l’ausilio delle tecnologie digitali, avvalendoti delle risorse della rete (ovvero attingendo a siti che riportano immagini di mobili, suppellettili, indumenti e oggetti dei primi del Novecento), prova a realizzare una scenografia per rappresentare la camera della novella.

in quella buja attesa senza fine


Soltanto la pietas dei familiari, ovvero la speranza nel ritorno di Cesarino aveva fatto sì che tutto – anche il tempo – scorresse come se fosse vivo: «E non c’è pericolo che la maggiore delle tre sorelle, ogni sabato alle quattro del pomeriggio, si dimentichi d’entrare nella camera per ridar la corda a quel vecchio orologio di bronzo sul cassettone, che con tanto risentimento rompe il silenzio ticchettando e muove le due lancette sul quadrante piano piano, che non si veda, come se voglia dire che non lo fa apposta, lui, per suo piacere, ma perché forzato dalla corda che gli danno». Il termine chiave illusione, proposto anche in precedenza («ed ecco, vela dolcemente la luce degli occhi e fino all’ultimo, fino all’ultimo vuol rimanere attaccata all’illusione delle tre figliuole, perché anche dal suo ultimo respiro quest’illusione tragga alito e seguiti a vivere per loro»), sembra rimandare direttamente alla dimensione della finzione e della messa in scena che caratterizzano il teatro: le tre sorelle “fingono” che la camera di Cesarino sia abitata, la povera madre “recita” fino alla fine il copione che le consente di illudere le figlie, ignare spettatrici del suo congedo alla vita; persino le suppellettili dell’interno domestico paiono trovarobato da palcoscenico.

quell’illusione


Il vocabolo, elemento chiave nella poetica di Pirandello, rimanda sia (più in generale) alla finzione del teatro e alla sua profonda disamina, sia (più precisamente) ad altri testi. Si veda, per esempio, il passo tratto dal cap. XVI de Il fu Mattia Pascal, in cui il protagonista “uccide” per sempre Adriano Meis, ponendo così fine alla finzione e all’illusione che la nuova identità potesse cancellare il passato: 

«“Qua”, dissi, quasi inconsciamente, tra me, “su questo parapetto... il cappello ... il bastone... Sì! Com’esse là, nella gora del molino, Mattia Pascal; io, qua, ora, Adriano Meis... Una volta per uno! Ritorno vivo; mi vendicherò!”

Un sussulto di gioja, anzi un impeto di pazzia m’investì, mi sollevò. Ma sì! ma sì! Io non dovevo uccider me, un morto, io dovevo uccidere quella folle, assurda finzione che m’aveva torturato, straziato due anni, quell’Adriano Meis, condannato a essere un vile, un bugiardo, un miserabile; quell’Adriano Meis dovevo uccidere, che essendo, com’era, un nome falso, avrebbe dovuto aver pure di stoppa il cervello, di cartapesta il cuore, di gomma le vene, nelle quali un po’ d’acqua tinta avrebbe dovuto scorrere, invece di sangue: allora sì! Via, dunque, giù, giù, tristo fantoccio odioso!» (dall’edizione a cura di G. Mazzacurati, Torino, Einaudi, 1993, p. 275).

   Solo il vecchio orologio di bronzo


Il tema della fugacità del tempo rappresentato da un congegno meccanico risale, com’è noto, alla lirica barocca e alla presenza, nella produzione letteraria e artistica del periodo, del motivo del memento mori : il «vecchio orologio di bronzo» di Pirandello, riproposto nella conclusione della novella attraverso una personificazione («seguita cupo e più sgomento che mai a parlare del tempo…»), sembra richiamare alla mente del lettore il sonetto Mobile ordigno di dentate rote del friulano Ciro di Pers (1599-1663), tratto da Poesie (edizione postuma del 1689). Istituisci un confronto fra i due oggetti inanimati riguardo alla loro rappresentazione e al loro significato ponendo in risalto i contesti comunicativi ed espressivi in cui figurano:

          Mobile ordigno di dentate rote
       lacera il giorno e lo divide in ore,
       ed ha scritto di fuor con fosche note
       a chi legger le sa: Sempre si more.
5        Mentre il metallo concavo percuote,
       voce funesta mi risuona al core;
       né del fato spiegar meglio si puote
       che con voce di bronzo il rio tenore.
       Perch’io non speri mai riposo o pace,
10      questo, che sembra in un timpano e tromba,
       mi sfida ognor contro all’età vorace.
           E con que’ colpi onde ’l metal rimbomba,
       affretta il corso al secolo fugace,
       e perché s’apra, ognor picchia alla tomba.

nella camera


Si forniscono utilmente due link per la preparazione di una discussione in classe intorno al film La stanza del figlio di Nanni Moretti (2001), il primo con l’intervista al regista, il secondo con la scena in cui i genitori, provati dalla morte del figlio, si interrogano su oggetti di utilizzo quotidiano che sembrano assumere nuovi significati alla luce dell’evento luttuoso, analogamente a quanto si rileva nel testo pirandelliano.

calendario a muro


Anche il tempo, nella camera di chi non tornerà più, si è fermato: «E il calendario? Quello lì, presso la finestra, è già il secondo. L’altro, dell’anno scorso, s’è sentito strappare a uno a uno tutti i giorni dei dodici mesi, uno ogni mattina, con inesorabile puntualità».

camicia da notte


 rituale ha avuto fine: la camera è adesso immutabile, come se l’assenza di Cesarino avesse finalmente svelato la fissità della sua morte estendendola anche agli elementi inanimati (nel passo precedente: «…per vegliare un altro morto qui, sul letto intatto»).  Il particolare della boccetta richiama un altro passo del testo: «È veramente una dimenticanza deplorevole, perché non solo l’acqua della boccetta, ma cambiano tutto quelle tre sorelle: ogni quindici giorni le lenzuola e le foderette del letto, rifatto con amorosa diligenza ogni mattina come se davvero qualcuno vi abbia dormito; due volte la settimana, la camicia da notte, che ogni sera, dopo rimboccate le coperte, vien tratta dal sacchetto di raso appeso col nastrino azzurro alla testa della lettiera bianca, e distesa sul letto con la falda di dietro debitamente rialzata. E han cambiato, oh Dio, finanche le pantofole davanti la poltroncina a piè del letto. Sicuro: le vecchie buttate via, dentro il comodino, e al loro posto, lì su lo scendiletto, un pajo nuove, di velluto, ricamate dall’ultima delle tre».

scatola di fiammiferi


Nella prima parte della novella, dominata dall’ampia e articolata descrizione della camera scrupolosamente governata dalle sorelle Mochi in attesa, il particolare della candela era stato posto in risalto quasi a voler indurre il lettore a soffermarsi sulla “vitalità” di arredi e oggetti. Sul piano narratologico, come evidenzia Emilio Giordano nel suo studio (cfr. III. La “camera in attesa”. Un topos letterario fra Pirandello e D’Arrigo, cit. in bibliografia, p. 171); si tratta dell’elemento chiave di una «strategia dello svelamento», opposta a quella dell’«occultamento» messa in atto dalle tre figure cechoviane (cfr. p. 168):

«Nell’attesa della fiamma che deve consumarla, s’è ingiallita quella candela sul trifoglio della bugia, come una vergine matura. E c’è da scommettere che le due figurine monellescamente smorfiose della scatola di fiammiferi la paragonino alle tre sorelle stagionate che vengono un giorno per una a ripulire e a rimettere in ordine la camera.

Via, benché intatta ancora, povera vergine candela, dovrebbero cambiarla le tre sorelle, se non proprio ogni giorno come fanno per l’acqua della boccetta (che anche perciò è così viva e pronta a ridere a ogni filo di luce), almeno a ogni quindici giorni, a ogni mese, via! per non vederla così gialla, per non vedere in quel giallore i quattordici mesi che sono passati senza che nessuno sia venuto ad accenderla, la sera, su quel tavolino da notte.

[…]

Le due figurine smorfiose della scatola evidentemente non vedono, come possono vederlo il vecchio orologio di bronzo col bianco occhio tondo del quadrante e il calendario dall’alto della parete col numero rosso che segna la data, il lugubre effetto di quella camicia da notte stesa lì sul letto e di quelle due pantofole nuove in attesa su lo scendiletto davanti la poltroncina.

Quanto alla candela confitta lì sul trifoglio della bugia, oh essa è così diritta e assorta nella sua gialla rigidità, che non si cura del dileggio di quelle due figurine smorfiose e del riso della panciuta boccetta, sapendo bene che cosa sta ad attendere lì, ancora intatta, così ingiallita».

La camera in attesa


Il tòpos letterario è stato indagato in maniera esaustiva da Emilio Giordano (cit. in bibliografia), che ha individuato una fitta trama di richiami e rimandi a un intertesto davvero interessante. A partire dal fondamentale lavoro di Giovanni Macchia (cit. in bibliografia), lo studioso ha delineato una serie di riscontri testuali all’interno dell’opera di Pirandello: “Vexilla regis…” (1897), La fede (1906), Pena di vivere così (1920), I piedi sull’erba (1934), Scialle nero (1904), Felicità (1911), La casa dell’agonia (1935), Il dovere del medico (1910), Il lume dell’altra casa (1909), Donna Mimma (1917), oltre ai testi già richiamati in proposito. Numerosi gli altri autori citati: Charles Dickens, Grandi speranze (1860-1861), Il circolo Pickwick (1837-1839), David Copperfield (1849-1850); Henri James, Owen Wingrave (1893), L’altare dei morti (1895), Il cantuccio felice (1908), Il senso del passato (1915); Theophile Gautier, La caffettiera (1831); G. Rodenbach, Bruges la morta (1892); Rainer Maria Rilke, I quaderni di Malte Laurids Brigge (1910); Alberto Savinio,  La casa ispirata (1925); Infanzia di Nivasio Dolcemare (1941); Poltrondamore (1945), Paterni mobili (1945); Dino Buzzati, Il deserto dei Tartari (1940); Goffredo Parise, L’odore del sangue (1979); Gabriel Garcìa Marquez, L’amore ai tempi del colera (1985), Spaventi d’agosto (1980); Elsa Morante, Menzogna e sortilegio (1948), La Storia (1974), Aracoeli (1982); Stefano D’Arrigo, Horcynus Orca (1975), Cima delle nobildonne (1985); Thomas Mann, I Buddenbrook (1901), Tonio Kröger (1903).

Nella notte i quattro ceri funebri ardono ai...


In questo punto del testo la narrazione presenta un’anacronia: quale? Motiva la tua risposta.

Glielo direte


L’ultima parola riservata alla madre sul letto di morte sottolinea ancor di più lo spessore del personaggio, che rimanda a un’altra opera di Pirandello, la tragedia in tre atti La vita che ti diedi (1923), scritta per Eleonora Duse (scomparsa nel 1924, che non fece in tempo a interpretarla) e derivata dalla novella qui proposta e da un altro testo narrativo, I pensionati della memoria (1914). Il lavoro teatrale fu portato in scena al Teatro Quirino di Roma il 12 ottobre 1923 dalla compagnia di Alda Borrelli, con scarso successo, e pubblicato l’anno successivo presso Bemporad a Firenze. Si forniscono utilmente link per l’approfondimento, volto preferibilmente alla comparazione fra i due testi: la pagina dedicata sul sito ufficiale dell’Edizione Nazionale dell’Opera Omnia di Luigi Pirandello – Versione digitale e tre video tratti da alcuni dei diversi allestimenti teatrali della tragedia (La vita che ti diedi - di Luigi Pirandello - 1956_1; La vita che ti diedi - di Luigi Pirandello - 1956_2; La vita che ti diedi di Luigi Pirandello - 2014/2015).

quest’ansia della lunghissima attesa


La voce narrante insinua nel lettore una interpretazione nuova e diversa dello stato d’animo della madre: il rituale della perfetta cura della camera da letto di Cesarino, supportato dalla certezza (apparente, simulata) del suo ritorno, sembra qui configurarsi come una tragica finzione fondata sull’ansia di un’attesa divenuta insopportabile.

fino all’ultimo, fino all’ultimo


Spiega la funzione della ripetizione in relazione al contenuto.

vela dolcemente la luce degli occhi


L’espressione presenta nuovamente il termine luce: con quale accezione in questo momento della narrazione?

pietà


A partire dall’etimologia del vocabolo, che puoi approfondire anche attraverso una ricerca in rete, spiega il significato di pietà nel contesto della narrazione e nell’uso corrente della lingua. Proponi di seguito una tua personale concezione di pietà facendo riferimento a letture e/o a esperienze di studio e/o di vita.

ma negli occhi ha come un riso di luce


l motivo del riso è assai frequente nell’opera di Pirandello: basti pensare alla riflessione su comico e umoristico elaborata nel fondamentale saggio L’umorismo (1908), in cui il riso è concepito come elemento che mette in crisi ogni presunta certezza, oppure, ad esempio, alla novella Tu ridi (pubblicata sul «Corriere della Sera» il 7 novembre 1934, poi nel volume Una giornata nel 1937). Si tratta di uno degli ultimi scritti dell’autore, in cui si racconta di una singolare festa in maschera turbata da una prorompente risata che costituisce motivo di imbarazzo per tutti i presenti; i responsabili dell’accaduto vengono poi individuati in un padre che, con i suoi due figli, ha assunto un comportamento disinvolto e noncurante dei formalismi che regolano i rapporti sociali. Se in questa novella e in altre prove pirandelliane il riso tende a demistificare verità ritenute assolute e incontrovertibili, in questo passaggio della Camera in attesa si colora invece di tenera compartecipazione: la luce indica infatti la prospettiva dell’aldilà, che rivelerà alla povera madre la verità sulla sorte del figlio, così come si evince più chiaramente dal passo successivo («Le tre figliuole…l’annunzio a loro»).

di questo crudele tradimento di Claretta.


La logica ferrea delle tre sorelle, portata alle estreme conseguenze, tende ancora una volta a mascherare la realtà: Claretta si è fidanzata con un altro perché si è stancata di aspettare Cesarino, il quale, una volta tornato, sarà deluso dal tradimento di lei. Di ciò sta soffrendo l’anziana madre, non del fondato sospetto che il giovane sia davvero morto.

al suo ritorno


Effettua una ricerca sul nóstos (preferibilmente in modalità cooperativa) avvalendoti degli argomenti di studio affrontati a scuola (ad esempio la conoscenza dell’epica classica) e/o delle risorse della rete; in seguito o in alternativa, puoi immaginare e raccontare una vicenda incentrata sul tema del ritorno a casa del reduce prendendo in considerazione uno dei tanti scenari di guerra che la contemporaneità pone drammaticamente all’attenzione di tutti.

come se fosse


Considera il passo «è come se fosse…all’altro»: quale funzione ha il reiterato ricorso alle forme verbali al congiuntivo?

mentre per Cesarino che non torna, il tempo non...


Il motivo del tempo che scorre inesorabile per i vivi ed è fisso e immutabile per i morti attraversa tutta la novella. In Pirandello la concezione del tempo è complessa: se riferita al fluire dell’esistenza e al contrasto fra vita e forma, rimanda in generale al pensiero di Hernri Bergson; se intesa nelle sue accezioni più particolari, è riconducibile a diverse fonti di ascolto nel contesto culturale dell’epoca dominato dalla crisi delle certezze. Si osservi tuttavia che la dimensione fortemente interiorizzata del tempo comporta sia la soggettività nella percezione (come nella Camera in attesa), sia la prossimità a concezioni irrazionalistiche che tendono a contrapporre il vitalismo stesso alla fissità delle convenzioni sociali. Si veda, ad esempio, il finale del romanzo Uno, nessuno e centomila (1926), in cui la fusione con l’elemento naturale è vissuta dal protagonista Vitangelo Moscarda lontano dalla città e dal suono di campane che segnano anch’esse il tempo, ovvero l’ora del vespero: «Pensare alla morte, pregare. C’è pure chi ha ancora questo bisogno, e se ne fanno voce le campane. Io non l’ho più questo bisogno; perché muojo ogni attimo, io, e rinasco nuovo e senza ricordi: vivo e intero, non più in me, ma in ogni cosa fuori» (dall’edizione a cura di C. Simioni, Milano, Oscar Mondadori, 1969, p. 225). 

Vogliono a ogni costo resistere al crollo, esse,...


Ritorno è parola-chiave nel passo e nel testo: essa rimanda al grande tema del nóstos del reduce di guerra che in letteratura affonda le radici nelle culture occidentali arcaiche (si pensi ai poemi omerici e al mito di Ulisse) e rivive nelle declinazioni di ogni epoca storica: ad esempio, nel Novecento letterario il viaggio di ritorno del sopravvissuto al campo di concentramento in La tregua (1963) di Primo Levi o del soldato siciliano chiamato alle armi in Horcynus Orca (1975) di Stefano D’Arrigo.

Immagini riferite alla guerra italo-turca: le prime sono foto d’archivio, la seconda una copertina della «Domenica del Corriere».

Per meglio delineare il contesto storico che fa da sfondo alla novella si ascolti il canto patriottico Tripoli bel suol d’amore scritto da Giovanni Corvetto e musicato da Colombino Arona nel 1911, alla vigilia della guerra italo-turca.

povera mamma


L’aggettivo indica il fatto che la voce narrante aderisce pateticamente allo status emotivo della madre, introducendo il momento di spannung della narrazione, ovvero la notizia del nuovo fidanzamento di Claretta.

lettino


Il ricorso al diminutivo evoca un’atmosfera familiare e quasi infantile: il punto di vista della madre e delle tre sorelle in attesa trasfigura la realtà anche in riferimento ad arredi e oggetti usati da un adulto.

Daniela Marro


Daniela Marro (Latina, 1966) è docente presso il Liceo Scientifico "F. Severi" di Frosinone e Cultrice della Materia presso il Dipartimento di Scienze Umane della LUMSA di Roma. Laurea in Lettere nel 1992 presso «La Sapienza» di Roma e Dottorato di Ricerca in Studi Storici di Letteratura Italiana nel 1998 presso «Roma Tre». Tra le sue pubblicazioni: L’officina di D’Arrigo. Giornalismo e critica d’arte alle origini di un caso letterario (Comune di Alì Terme, Messina, 2002); saggi su rivista «Quaderni di Italianistica», «Letteratura & Arte», «L’Illuminista», «Rivista di Studi Italiani») e volumi miscellanei, fra cui Cinema nostrum. Registi, attori e professionisti ciociari del cinema (Teseo, Frosinone, 2010) e La grande magia. Mondo e oltremondo nella narrativa di Giuseppe Occhiato (Studium, Roma, 2015). Negli ultimi anni ha partecipato ai seguenti convegni: Mod nel 2014, 2015, 2017 e 2018, 2021 e 2022 (con contributi agli atti); “Crescere in poesia” presso la LUMSA di Roma nel 2019 e nel 2021. Ha collaborato dal 2011 a tutt’oggi con «O.b.l.i.o.» e dal 2012 al 2019 con Pearson nell’editoria scolastica (apparati e percorsi didattici a corredo dei manuali di letteratura italiana di G. Baldi per Paravia e G. Langella per B. Mondadori; fascicolo A lezione con “Il Corriere” per Paravia). Figura nel gruppo di ricerca e redazione della piattaforma Diletteratura e tra i referenti Mod Scuola per il Lazio.

diradate


Claretta, fidanzata di Cesarino, da due mesi ha interrotto le visite quotidiane presso casa Mochi. La giovane vi si recava mestamente portando sempre in dono un fiore e una lettera; prima di scomparire, non soltanto aveva mostrato un aspetto diverso («…venne di nuovo vestita di abiti gaj, primaverili, risbocciata come un fiore, tutta accesa e vivace come da gran tempo le tre sorelle e la loro povera mamma non l’avevano più veduta»), ma aveva anche chiesto alla madre e alle sorelle dell’amato la restituzione di tutte le lettere, comprese quelle che i due si erano scambiati prima che Cesarino fosse dato per disperso.

La camera in attesa


Il testo proposto è la parte conclusiva della novella. Una madre anziana e tre sorelle nubili e adulte (Nanda, Flavia e Margherita) attendono il ritorno del figlio e fratello Cesarino Mochi, sottotenente di fanteria partito due anni prima per la Tripolitania e distaccato nel Fezzan. Da quattordici mesi non si sa più nulla di lui, dato per disperso. La probabile morte del giovane getta la famiglia e il vicinato nello sgomento; tuttavia, le quattro donne credono che il suo rientro sia imminente, e per questo tengono in ordine la sua camera da letto, come se Cesarino la abitasse realmente. Anche la fidanzata Claretta frequenta quotidianamente la casa per condividere con loro rituali e speranze. Dopo due mesi, però, in assenza di novità, le sue visite si diradano fino a cessare del tutto. La notizia che si è promessa a un altro uomo piega definitivamente la povera madre, che si ammala e muore non prima di aver avvalorato l’illusione che il figlio sia ancora vivo, prossimo al ritorno.

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Luigi Pirandello nasce a Girgenti (oggi Agrigento), nella contrada Caos, il 28 giugno 1867. Di famiglia agiata, svolge il suo percorso di studi tra Palermo e Roma; qui entra in contatto con Luigi Capuana. Pubblica i primi libri di poesie (Mal giocondo, 1889; Pasqua di Gea, 1891), seguiti da poche altre raccolte (Elegie renane, 1895; Zampogna, 1901; Fuori di chiave, 1912); si reca in Germania, dove approfondisce autori come Goethe e Schopenhauer e si laurea a Bonn con una tesi sul dialetto agrigentino. Tornato in Italia, si stabilisce a Roma nel 1893, dando vita a una intensa produzione di saggi, novelle e romanzi e, dal 1913, anche di soggetti e sceneggiature per il cinema; si dedica all’insegnamento (1897-1922) presso l’Istituto Superiore di Magistero. Il periodo è segnato sia dai dissesti economici della sua famiglia (il rovinoso fallimento dell’impresa paterna nel 1903), sia dai problemi di salute della moglie, Antonietta Portulano, sposata nel 1894, da cui ha tre figli; la donna, affetta da disturbi mentali, viene ricoverata definitivamente a Roma nel 1919.

Agli inizi del Novecento, la riflessione di Pirandello si incentra prevalentemente sugli argomenti più dibattuti della sua epoca (ad esempio, il rapporto fra arte e scienza), e su temi quali l’umorismo, a cui dedica un fondamentale scritto pubblicato nel 1908 in cui sostiene la tesi che l’arte possa scomporre il reale fino a evidenziarne le profonde contraddizioni. I primi romanzi (L’esclusa, 1901; Il turno, 1902) segnano una distanza dal verismo, da cui prende le mosse la sua narrativa, attraverso una visione più problematica e relativistica della vita e del mondo. I suoi personaggi, che non si identificano nei “vinti” verghiani, sono per lo più piccolo borghesi (impiegati, pensionati, professionisti), figure anonime e inquiete, votate all’incomunicabilità, protagoniste sia di intrecci consueti nella letteratura del tempo (triangoli amorosi, vendette, matrimoni in crisi, pazzie), sia di accadimenti bizzarri, ai limiti dell’assurdo; essi incarnano il più delle volte il dissidio angoscioso tra essere e apparire, tra vita (l’essenza autentica dell’individuo) e forma (la “maschera” per la società), e sono presentati con modalità che superano i canoni naturalistici, attraverso una prosa dal registro medio, discorsiva, dominata dal dialogo. Il primo romanzo in cui compiutamente figurano i tratti distintivi della poetica di Pirandello è Il fu Mattia Pascal (1904), considerato il suo capolavoro in ambito narrativo; seguono le raccolte di novelle, tutte confluite nella raccolta Novelle per un anno, progettata nel 1922 (Erma bifronte, 1906; La vita nuda, 1910; Terzetti, 1912; Le due maschere, 1914, poi intitolata Tu ridi, 1920; La trappola, 1915; Erba del nostro orto, 1915; E domani, lunedì…, 1917; Un cavallo nella luna, 1918; Berecche e la guerra, 1919; Il carnevale dei morti, 1919) e i romanzi scritti nello stesso periodo e successivamente, dagli esiti non sempre del tutto convincenti (Suo marito, 1911, rielaborato e uscito postumo con il titolo Giustino Roncella nato Boggiolo, 1941; I vecchi e i giovani, 1913; Si gira…, 1916, poi pubblicato con il titolo Quaderni di Serafino Gubbio operatore, 1925; Uno, nessuno e centomila, 1926).

I consensi riguardo alla sua attività di narratore, ma soprattutto riferiti alla sua instancabile opera di drammaturgo, gli procurano grande fama a livello nazionale e mondiale. A partire dal 1915 si dedica infatti alla scrittura per il teatro e alla regia, anche con diverse esperienze all’estero; dirige il Teatro d’Arte di Roma (dal 1925 al 1928) e una propria compagnia, legandosi sentimentalmente alla prim’attrice, Marta Abba. Così come nella produzione narrativa, da cui scaturisce buona parte dei soggetti drammatici, anche nel teatro Pirandello rielabora in una prima fase gli elementi fondanti la commedia borghese, arricchendoli con nuovi spunti tematici e caricandoli di implicazioni umoristiche e grottesche: Lumie di Sicilia, 1910; Pensaci Giacomino!, 1916; Liolà, 1916, originariamente in dialetto siciliano; Così è (se vi pare), 1917; Il piacere dell’onestà, 1917; La patente, 1918; Ma non è una cosa seria, 1918; Il berretto a sonagli, 1918; Il giuoco delle parti, 1918; Tutto per bene, 1920; Come prima, meglio di prima, 1920; La signora Morli, una e due, 1920. In una fase successiva, Pirandello prende le distanze da tali caratteristiche in direzione del dramma e della tragedia: Sei personaggi in cerca d’autore, 1921, considerato il suo capolavoro, che, insieme con Ciascuno a suo modo (1924), e Questa sera si recita a soggetto (1930), costituisce la cosiddetta trilogia del “teatro nel teatro”, incentrata sulla riflessione profonda intorno all’essenza stessa dell’atto creativo e della rappresentazione della realtà; Enrico IV, 1922; Vestire gli ignudi, 1922; L’uomo dal fiore in bocca, 1923; La vita che ti diedi, 1923; Diana e la Tuda, 1927; Come tu mi vuoi, 1930; Quando si è qualcuno, 1933; Non si sa come, 1935.

Aderisce al fascismo nel 1924 (a seguito di una pubblica richiesta di iscrizione) pur configurandosi come autore sempre più innovativo, distante dalla politica culturale del regime; nel 1929 viene nominato Accademico d’Italia e nel 1934 gli viene conferito il premio Nobel per la letteratura. Nell’ultima fase della produzione per il teatro, quella dei cosiddetti “miti” moderni (La nuova colonia, 1928; Lazzaro, 1929), Pirandello lascia incompiuta sua ultima opera, I giganti della montagna (prima rappresentazione postuma nel 1937), ma si avvicina alla sperimentazione europea tracciando una direzione di ricerca particolarmente significativa per successivi sviluppi.

A causa dell’aggravarsi di una broncopolmonite, muore a Roma il 10 dicembre 1936 nella sua casa di via Antonio Bosio 15, divenuta poi sede dell’Istituto di Studi Pirandelliani.

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I testi della raccolta, così come tutte le novelle, presentano caratteri, temi e strutture differenti, dando voce alla complessità e alla profondità delle riflessioni di Pirandello, preferibilmente incentrate sull’assurdità degli eventi della vita e dei comportamenti umani. La demistificazione dei luoghi comuni e i punti di vista “straniati” caratterizzano queste narrazioni, che presentano sia parti descrittive di impianto tradizionale, sia monologhi e dialoghi che favoriscono le frequenti riscritture per il teatro. La lingua presenta un registro medio che non esclude, a seconda delle trame o delle ambientazioni, l’adozione di preziosismi o dialettalismi.

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  • AA.VV., Pirandello. Narrazione-memoria-identità, a cura di A. Sorrentino e M. Rössner, a cura di Alessandra Sorrentino, Michael Rössner, Oxford-New York, Peter Lang, 2019
  •  AA.VV., Pirandello, vita e arte nelle lettere. Atti del 55° Convegno internazionale di studi pirandelliani, a cura di Stefano Milioto, a cura di Stefano Milioto, Caltanissetta, Lussografica, 2018
  • Elisabetta Abignente, ‎ Emanuele Canzaniello, Le attese: opificio di letteratura reale. 2, Napoli, Ad Est dell’Equatore, 2015
  • Federica Adriano, La narrativa tra psicopatologia e paranormale. Da Tarchetti a Pirandello, Pisa, ETS, 2014
  • Roberto Alonge, Pirandello. Tra realismo e mistificazione, Acireale-Roma, Bonanno, 2009
  • Valentino Baldi, Reale invisibile. Mimesi e interiorità nella narrativa di Pirandello e Gadda, Venezia, Marsilio, 2010
  • Alberto Casadei (a cura di), Luigi Pirandello, ne Il Novecento, Bologna, Il Mulino, 2013, pp. 43-50
  • Carlo Di Lieto, Pirandello, Binet e “Les altérations de la personnalité”, Napoli, Ellissi, 2008
  • Guido Furci, Pirandello per cominciare. Principio del montaggio e dinamiche di scambio nella letteratura modernista della prima metà del Novecento, «Chroniques italiennes», Série web, n. 18, 4/2010, 2010
  • Emilio Giordano, La “camera in attesa”: fra Pirandello e D’Arrigo, in “Itinerari”, 3, 1994, pp. 99-115 (Relazione presentata al Convegno Internazionale su “Pirandello narratore”, Messina-Agrigento, 24-31 ottobre 1993), poi confluito in ID., III. La “camera in attesa”. Un topos letterario fra Pirandello e D’Arrigo, in Femmine folli e malinconici viaggiatori. Personaggi di Horcynus Orca e altri sentieri, Salerno, Edisud, 2008, pp. 149-185
  • Giovanni Macchia, Pirandello o la stanza della tortura, Milano, Mondadori, 1981
  • Raffaele Messina, Il continuo e il discreto nella scrittura di Pirandello. Una lettura narratologica della predisposizione scenica delle Novelle per un anno, Napoli, Loffredo Editore, 2009
  • Mario Minarda, Tra saggio e novella. Forme di scrittura critico-inventiva in Pirandello, Pisa, ETS, 2020
  • Guido Nicastro, Le tragedie di Pirandello, «Esperienze letterarie», n.3, pp. 79-87, 2014
  • Rossella Palmieri, Pirandello e la medicina, Firenze, Franco Cesati Editore, 2018
  • Ernestina Pellegrini, Il grande sonno. Immagini della morte in Verga, De Roberto, Pirandello, Tomasi di Lampedusa, Sciascia e Bufalino, Firenze, Florence Art Edizioni, 2012
  • Marina Polacco, Pirandello, Bologna, Il Mulino, 2011
  • Gabriele Pulli, Il brivido dell’eterno. Su Pirandello e Freud, Firenze, Clinamen, 2016
  • Angelo R. Pupino, Pirandello. Poetiche e pratiche di umorismo, Roma, Salerno editrice, 2013
  • Ivan Pupo, Luigi Pirandello, Firenze, Le Monnier Università, 2012; Crimini familiari e scena teatrale. Ibsen, Pirandello, De Filippo, Napoli, Liguori, 2015
  • Roberto Salsano, Pirandello in chiave esistenzialista, Roma, Bulzoni editore, 2015
  • Davide Savio, Il carnevale dei morti. Sconciature e danze macabre nella narrativa di Luigi Pirandello, Novara, Interlinea, 2013
  • Giuseppe Sorbello, Iconografie veriste. Percorsi tra immagine e scrittura in Verga, Capuana e Pirandello, Acireale-Roma, Bonanno, 2012
  • Alfredo Sgroi, «L’Anima dentro la notte che sogna». Gli incantesimi del mago Pirandello, Caltanissetta, Edizioni Lussografica, 2015
  • Dario Tomasello, La Drammaturgia italiana contemporanea. Da Pirandello al futuro, Roma, Carocci, 2016
  • Monica Venturini, «E leggo e studio». Nel mondo di carta del giovane Pirandello, “Oblio”, V, 17, pp. 77-86
  • https://www.treccani.it/enciclopedia/luigi-pirandello/
  • https://www.treccani.it/enciclopedia/luigi-pirandello_(Dizionario-Biografico)/