Luigi Pirandello

Luigi Pirandello nasce a Girgenti (oggi Agrigento), nella contrada Caos, il 28 giugno 1867. Di famiglia agiata, svolge il suo percorso di studi tra Palermo e Roma; qui entra in contatto con Luigi Capuana. Pubblica i primi libri di poesie (Mal giocondo, 1889; Pasqua di Gea, 1891), seguiti da poche altre raccolte (Elegie renane, 1895; Zampogna, 1901; Fuori di chiave, 1912); si reca in Germania, dove approfondisce autori come Goethe e Schopenhauer e si laurea a Bonn con una tesi sul dialetto agrigentino. Tornato in Italia, si stabilisce a Roma nel 1893, dando vita a una intensa produzione di saggi, novelle e romanzi e, dal 1913, anche di soggetti e sceneggiature per il cinema; si dedica all’insegnamento (1897-1922) presso l’Istituto Superiore di Magistero. Il periodo è segnato sia dai dissesti economici della sua famiglia (il rovinoso fallimento dell’impresa paterna nel 1903), sia dai problemi di salute della moglie, Antonietta Portulano, sposata nel 1894, da cui ha tre figli; la donna, affetta da disturbi mentali, viene ricoverata definitivamente a Roma nel 1919.

Agli inizi del Novecento, la riflessione di Pirandello si incentra prevalentemente sugli argomenti più dibattuti della sua epoca (ad esempio, il rapporto fra arte e scienza), e su temi quali l’umorismo, a cui dedica un fondamentale scritto pubblicato nel 1908 in cui sostiene la tesi che l’arte possa scomporre il reale fino a evidenziarne le profonde contraddizioni. I primi romanzi (L’esclusa, 1901; Il turno, 1902) segnano una distanza dal verismo, da cui prende le mosse la sua narrativa, attraverso una visione più problematica e relativistica della vita e del mondo. I suoi personaggi, che non si identificano nei “vinti” verghiani, sono per lo più piccolo borghesi (impiegati, pensionati, professionisti), figure anonime e inquiete, votate all’incomunicabilità, protagoniste sia di intrecci consueti nella letteratura del tempo (triangoli amorosi, vendette, matrimoni in crisi, pazzie), sia di accadimenti bizzarri, ai limiti dell’assurdo; essi incarnano il più delle volte il dissidio angoscioso tra essere e apparire, tra vita (l’essenza autentica dell’individuo) e forma (la “maschera” per la società), e sono presentati con modalità che superano i canoni naturalistici, attraverso una prosa dal registro medio, discorsiva, dominata dal dialogo. Il primo romanzo in cui compiutamente figurano i tratti distintivi della poetica di Pirandello è Il fu Mattia Pascal (1904), considerato il suo capolavoro in ambito narrativo; seguono le raccolte di novelle, tutte confluite nella raccolta Novelle per un anno, progettata nel 1922 (Erma bifronte, 1906; La vita nuda, 1910; Terzetti, 1912; Le due maschere, 1914, poi intitolata Tu ridi, 1920; La trappola, 1915; Erba del nostro orto, 1915; E domani, lunedì…, 1917; Un cavallo nella luna, 1918; Berecche e la guerra, 1919; Il carnevale dei morti, 1919) e i romanzi scritti nello stesso periodo e successivamente, dagli esiti non sempre del tutto convincenti (Suo marito, 1911, rielaborato e uscito postumo con il titolo Giustino Roncella nato Boggiolo, 1941; I vecchi e i giovani, 1913; Si gira…, 1916, poi pubblicato con il titolo Quaderni di Serafino Gubbio operatore, 1925; Uno, nessuno e centomila, 1926).

I consensi riguardo alla sua attività di narratore, ma soprattutto riferiti alla sua instancabile opera di drammaturgo, gli procurano grande fama a livello nazionale e mondiale. A partire dal 1915 si dedica infatti alla scrittura per il teatro e alla regia, anche con diverse esperienze all’estero; dirige il Teatro d’Arte di Roma (dal 1925 al 1928) e una propria compagnia, legandosi sentimentalmente alla prim’attrice, Marta Abba. Così come nella produzione narrativa, da cui scaturisce buona parte dei soggetti drammatici, anche nel teatro Pirandello rielabora in una prima fase gli elementi fondanti la commedia borghese, arricchendoli con nuovi spunti tematici e caricandoli di implicazioni umoristiche e grottesche: Lumie di Sicilia, 1910; Pensaci Giacomino!, 1916; Liolà, 1916, originariamente in dialetto siciliano; Così è (se vi pare), 1917; Il piacere dell’onestà, 1917; La patente, 1918; Ma non è una cosa seria, 1918; Il berretto a sonagli, 1918; Il giuoco delle parti, 1918; Tutto per bene, 1920; Come prima, meglio di prima, 1920; La signora Morli, una e due, 1920. In una fase successiva, Pirandello prende le distanze da tali caratteristiche in direzione del dramma e della tragedia: Sei personaggi in cerca d’autore, 1921, considerato il suo capolavoro, che, insieme con Ciascuno a suo modo (1924), e Questa sera si recita a soggetto (1930), costituisce la cosiddetta trilogia del “teatro nel teatro”, incentrata sulla riflessione profonda intorno all’essenza stessa dell’atto creativo e della rappresentazione della realtà; Enrico IV, 1922; Vestire gli ignudi, 1922; L’uomo dal fiore in bocca, 1923; La vita che ti diedi, 1923; Diana e la Tuda, 1927; Come tu mi vuoi, 1930; Quando si è qualcuno, 1933; Non si sa come, 1935.

Aderisce al fascismo nel 1924 (a seguito di una pubblica richiesta di iscrizione) pur configurandosi come autore sempre più innovativo, distante dalla politica culturale del regime; nel 1929 viene nominato Accademico d’Italia e nel 1934 gli viene conferito il premio Nobel per la letteratura. Nell’ultima fase della produzione per il teatro, quella dei cosiddetti “miti” moderni (La nuova colonia, 1928; Lazzaro, 1929), Pirandello lascia incompiuta sua ultima opera, I giganti della montagna (prima rappresentazione postuma nel 1937), ma si avvicina alla sperimentazione europea tracciando una direzione di ricerca particolarmente significativa per successivi sviluppi.

A causa dell’aggravarsi di una broncopolmonite, muore a Roma il 10 dicembre 1936 nella sua casa di via Antonio Bosio 15, divenuta poi sede dell’Istituto di Studi Pirandelliani.

Candelora

Candelora

Bemporad, Firenze, 1928

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Uno, nessuno e centomila

Uno, nessuno e centomila

Bemporad, Firenze, 1926

Leggi Io dico, poi perché?