Umberto Saba nasce a Trieste il 9 marzo 1883: il suo vero cognome, Poli, nel 1910 viene mutato in “Saba”, pseudonimo di ascendenza ebraica. Le origini familiari sono segnate dal trauma, subìto in età infantile, dell’abbandono del padre, Ugo Edoardo Poli, dalla rigida personalità della madre, Felicita Rachele Coen (ebrea di famiglia benestante), e dall’accogliente accudimento della nutrice slovena di religione cattolica Gioseffa Gabrovich (Beppa o Peppa Sabaz). Elementi, questi, che influiranno nel corso della vita anche sulla sua produzione poetica, caratterizzata da semplicità e cantabilità soltanto apparenti, celando infatti il suo verso tensioni e conflitti profondi. I suoi esordi poetici risalgono al 1900, ma il primo libro, Poesie, è del 1911; seguono negli anni: Coi miei occhi (1912), Cose leggere e vaganti (1920), Il Canzoniere (1921; edizione critica a cura di G. Castellani, 1981), Preludio e canzonette (1922), Figure e canti (1926), Preludio e fughe (1928), Tre composizioni (1933), Parole (1934), Ultime cose (1944), poi tutti raccolti nell’edizione definitiva del Canzoniere (1945); e quindi Mediterranee (1947), Uccelli – Quasi un racconto (1951). Dopo alcune esperienze lontano da Trieste (Pisa, Firenze), dall’aprile del 1907 al settembre 1908 presta servizio militare nel Regio Esercito Italiano, dapprima a Firenze, poi a Salerno, dove compone i Versi militari. Nel 1909 sposa con rito ebraico Carolina Wölfler, da cui avrà l’amata figlia Linuccia (1910) e a cui sarà legato per tutta la vita da un rapporto controverso e non esente da periodi di crisi (nel 1945 il poeta vivrà un’intensa e sofferta, seppur breve, relazione con il giovane Federico Almansi). Risale al 1911 il manifesto di poetica Quello che resta da fare ai poeti («ai poeti resta da fare la poesia onesta»), proposto a Scipio Slataper per la «Voce», ma rifiutato dalla rivista e uscito solo postumo. Saba prende parte alla Prima Guerra Mondiale (a Casalmaggiore, Roma e Milano), non interrompendo la sua attività poetica (Poesie scritte durante la guerra). Dal 1929 al 1931 si sottopone a una terapia psicanalitica (con Edoardo Weiss, allievo di Sigmund Freud e tra i primi a introdurre la psicoanalisi in Italia), anch’essa di grande impatto sull’autobiografismo che caratterizza la sua poetica e in particolare Il piccolo Berto (che esce su «Solaria» nel febbraio 1931), opera che segna una fase decisiva di chiarimento interiore. Intellettuale dalla formazione culturale eterogenea e non regolare, fondata sull’alternarsi di studi umanistici e tecnico commerciali e su letture personali (anche da filosofi quali Nietzsche, o da autori nell’ambito della psicanalisi stessa), Saba dirige la libreria antiquaria di sua proprietà a Trieste, città mitteleuropea a cui è profondamente legato. Vi fa ritorno nel 1939 dopo essersene allontanato (a Parigi e a Roma nel 1938), ma è costretto dalle leggi razziali a cedere la propria attività. Nei primi anni di guerra vive fra Trieste e Milano, ospite di Emanuele Almansi, libraio antiquario, padre del giovane Federico; dopo l’8 settembre del 1943 Saba, insieme a Lina e Linuccia, si trasferisce a Firenze, dove rimane per tutto il 1944 (cambiando ben undici domicili); nel gennaio 1945 si trasferisce a Roma, dove trascorre il periodo più felice della sua vita, confortato sia dalla vicinanza di Giacomo Debenedetti, Sandro Penna, Adriano Grande, Renato Guttuso, Guido Piovene, Elsa Morante, sia dall’effetto dei positivi riscontri alla sua attività letteraria. A novembre si trasferisce di nuovo a Milano, ospite degli Almansi, e supportato dai fidati amici Raffaele Mattioli, Vittorio Sereni e Giansiro Ferrata. Nel 1946 ottiene il Premio Viareggio e l’anno seguente rifiuta la proposta di insegnare all’Università di San Paolo, in Brasile, pur soffrendo della difficoltà di trovare un lavoro stabile (la pubblicazione retribuita delle sue poesie e prose e la collaborazione al Corriere della sera sono attività saltuarie). Sostenuto da figure di spicco del panorama italiano, Saba si dedica ininterrottamente alla produzione poetica divenendo, soprattutto a partire dagli anni Cinquanta, poeta esemplare della linea antinovecentista, ovvero distante dai modelli proposti da avanguardie e tardo simbolismo, e fautore di una poesia semplice e onesta, in grado di parlare in modo diretto e franco al lettore. Ma la sua opera, tutt’altro che immediata e lineare, bensì dalla complessa stratigrafia compositiva, è stata indagata a fondo soltanto negli ultimi decenni attraverso le nuove edizioni di tutte le opere, in particolare della versione definitiva del Canzoniere (1961). Nel maggio 1948 fa definitivamente ritorno a Trieste, fatta eccezione per i ricoveri in cliniche (a Roma, Trieste, Gorizia) dovuti al frequente riacutizzarsi della nevrosi, cui fungono da argine, in quegli anni, alcuni importanti riconoscimenti ufficiali. Saba è anche autore di prose fra narrative e liriche: Scorciatoie e raccontini (1946), Ricordi-racconti (1956) e Storia e cronistoria del Canzoniere (1948); Ernesto, romanzo scritto nel 1953 e incompiuto, viene pubblicato postumo (1975). Riguardo all’epistolario di Saba, oltre al carteggio con Pier Antonio Quarantotti Gambini (Il vecchio e il giovane, 1965) e a singoli gruppi di lettere pubblicati sparsamente, è importante ricordare l’edizione a cura di Aldo Marcovecchio, La spada d’amore. Lettere scelte 1902-1957 (1983). Il 25 agosto 1957 Saba muore per infarto nella sua stanza di ospedale a Gorizia; soltanto qualche mese prima era scomparsa Lina a seguito di una grave malattia. Proprio accanto a lei viene sepolto a Trieste, nel cimitero cattolico di Sant’Anna.