Il Ferrobedò

a cura di Cecilia Spaziani

Da Monteverde Vecchio ai Granatieri la strada è corta: basta passare il Prato, e tagliare tra le palazzine in costruzione intorno al viale dei Quattro Venti: valanghe d’immondezza, case non ancora finite e già in rovina, grandi sterri fangosi, scarpate piene di zozzeria. Via Abate Ugone era a due passi. La folla giù dalle stradine quiete e asfaltate di Monteverde Vecchio, scendeva tutta in direzione dei Grattacieli: già si vedevano anche i camion, colonne senza fine, miste a camionette, motociclette, autoblinde. Il Riccetto s’imbarcò tra la folla che si buttava verso i magazzini.
Il Ferrobedò lì sotto era come un immenso cortile, una prateria recintata, infossata in una valletta, della grandezza di una piazza o d’un mercato di bestiame: lungo il recinto rettangolare s’aprivano delle porte: da una parte erano collocate delle casette regolari di legno, dall’altra i magazzini. Il Riccetto col branco di gente attraversò il Ferrobedò quant’era lungo, in mezzo alla folla urlante, e giunse davanti a una delle casette. Ma lì c’erano quattro Tedeschi che non lasciavano passare. Accosto la porta c’era un tavolino rovesciato: il Riccetto se l’incollò e corse verso l’uscita. Appena fuori incontrò un giovanotto che gli disse: «Che stai a fa?» «Me lo porto a casa, me lo porto,» rispose il Riccetto. «Vie’ con me, a fesso, che s’annamo a prenne la robba più mejo»

Tratto da: Pier Paolo Pasolini, Ragazzi di vita, Garzanti, Milano, 2009

Pier Paolo Pasolini

Ragazzi di vita

Nota generale al testo Bibliografia critica
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Cecilia Spaziani


Cecilia Spaziani è assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Scienze Umane dell’Università LUMSA di Roma e, presso la medesima Università, è docente a contratto di Letteratura per l’integrazione sociale. È inoltre docente a contratto di Letteratura italiana presso l’Università degli Studi Guglielmo Marconi di Roma. Ha conseguito il titolo di Dottoressa di ricerca presso La Sapienza Università di Roma. È cultrice della materia di Letteratura italiana moderna e contemporanea presso il Dipartimento di Lettere e Culture Moderne della Sapienza. È nella Redazione della piattaforma Diletteratura ed è componente, tra gli altri, dei seguenti gruppi di ricerca: Il testo digitale nella didattica della letteratura: risorse, acquisizioni scientifiche recenti, e-learning (LUMSA) e I carteggi inediti dell’archivio Laterza e la cultura letteraria del Novecento (Sapienza). Ha fatto parte di comitati organizzativi di numerosi convegni tra i quali La poesia che cura. Incontro con Daniele Mencarelli (LUMSA, 2023), Il giallo ti dona: indagini poliziesche al femminile (LUMSA, 2023), Scrittura, editoria e giornalismo tra cambiamento e nuove sfide (Sapienza, 2018). Ha partecipato come relatrice a numerosi convegni nazionali e internazionali.

Il Ferrobedò


Il testo proposto rappresenta l’incipit del romanzo, all’interno del capitolo di apertura, Il Ferrobedò. In una calda domenica di luglio Riccetto, uno dei tanti ragazzi di vita di cui viene raccontata la storia, deve ricevere la prima comunione. Mentre cammina tra cantieri aperti e strade trafficate, la sua attenzione è attirata dalla folla riunitasi attorno al Ferrobedò: la scena racconta del momento in cui, mentre porta via con sé un tavolo, viene richiamato da un ragazzo che gli consiglia di seguirlo.
Mentre la voce narrante è caratterizzata da un italiano medio, il dialogo tra i due giovani è in dialetto romanesco.

«Vie’ con me, a fesso, che s’annamo a prenne la...


Perché Pasolini utilizza il romanesco? Che funzione ha il dialetto all’interno dell’opera?

«Che stai a fa?»


Evidenzia le parole dialettali presenti all’interno del testo.

Riccetto


Come descriveresti Riccetto? Indica tre aggettivi che più rappresentano, a tuo parere, il personaggio.

Accosto


Cosa fa Riccetto dopo aver visto il tavolino abbandonato? (indica la risposta giusta):

  • Chiede educatamente ai tedeschi di poterlo prendere;
  • Tenta di trafugarlo;
  • Chiede a gran voce chi, tra i presenti, ne avesse più bisogno.

folla


Si rifletta su quello che ha rappresentato, intorno agli anni Cinquanta-Sessanta del Novecento, per Pasolini il passaggio dal popolo alla massa.

attraversò


Riporta tutti i verbi del testo in una tabella. Di ciascuno specifica quali sono i modi, i tempi utilizzati e la persona (es. “attraversò”, riga 10 🡪 modo: indicativo; tempo: passato remoto; persona: 3^ persona singolare).

piazza


Descrivi un luogo a te familiare che assomiglia a questo raccontato nel testo (max 20 righe).

stradine


All’interno del testo sono presenti numerosi riferimenti a strade e quartieri di Roma. Elencali. Quale è, secondo te, il motivo di tale attenzione dell’autore nei confronti dei luoghi?

case


Dopo aver visto attentamente questo breve video, riassumi la posizione di Pasolini: Pasolini - la tv, i mass media e l’omologazione

tra le palazzine in costruzione


Nel dopoguerra numerose furono le attività di ricostruzione di palazzi e di interi quartieri distrutti dalle bombe. Molte delle case tra piazzale dei Quattro Venti e Ponte Bianco qui descritte sono infatti databili tra il 1950 ed il 1960.

Monteverde Vecchio


Ai margini delle città la vita nelle borgate a Roma negli anni Cinquanta:

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Bologna, 5 marzo 1922 – Ostia, 2 novembre 1975

Pier Paolo Pasolini nasce a Bologna, il 5 marzo 1922, da Susanna Colussi, maestra elementare, e Carlo Alberto Pasolini, ufficiale di carriera.

Si iscrive alla Facoltà di Lettere dell’Università di Bologna laureandosi, nel 1945, con una tesi su Giovanni Pascoli.

Agli anni Quaranta risalgono i primi esperimenti letterari di Pasolini, che sfociano nella pubblicazione, ben accolta dal pubblico e dalla critica, di Poesie a Casarsa (1942). Nel 1943, a causa dello scoppio della Seconda guerra mondiale, con Susanna e il fratello minore Guido egli si trasferisce a Casarsa, in Friuli, paese d’origine della madre, dove la famiglia aveva sino a quel momento trascorso tutte le estati e dove il padre, prigioniero in Africa, li raggiungerà solo nel 1945. Dal contesto rurale e contadino di Casarsa Guido partirà per unirsi ai partigiani, perdendo la vita nel noto eccidio di Porzûs (1945).

A causa dell’accusa di atti osceni in luogo pubblico e corruzione di minori, Pasolini, nel gennaio del 1950, decide di fuggire con la madre da Casarsa per riparare a Roma. Si apre così, tra difficoltà economiche e lavori saltuari, la fase romana dell’autore che, entrato in contatto con le realtà sottoproletarie delle borgate, scrive i due romanzi Ragazzi di vita(1955) e Una vita violenta (1959). Di questo periodo è anche la raccolta poetica Le ceneri di Gramsci (1957).

Sperimentatore dei più disparati generi artistici, scrittore, intellettuale e regista, Pasolini riflette sulla poesia dialettale nelle due antologie Poesia dialettale del Novecento (1952, con Mario Dell’Arco) e il Canzoniere italianoAntologia della poesia popolare (1955) e, nel 1953, fonda con gli amici Alberto Moravia e Alberto Carocci la rivista «Officina». Stretto nei confini di una letteratura troppo distante dal popolo, decide di volgersi al cinema. Tra i maggiori film, dunque, Accattone (1961), Mamma Roma (1962), Il Vangelo secondo Matteo (1964), Uccellacci e uccellini (1966), Edipo re(1967), Teorema (1968), Medea (1969) fino alla Trilogia della vita (Decameron, 1971; I racconti di Canterbury, 1972; Il fiore delle Mille e una Notte, 1974) e al postumo Salò o le 120 giornate di Sodoma (1976).

Nonostante la carriera da regista, Pasolini non abbandona la letteratura: agli anni Sessanta e Settanta risalgono infatti le raccolte La religione del mio tempo (1961), Poesia in forma di rosa (1964), Trasumanar e organizzar (1971) e l’avvio del postumo e incompleto Petrolio (1992). Del 1962 è poi il romanzo Il sogno di una cosa e del 1965 la sperimentazione di Alì dagli occhi azzurri. La sua intensa attività di giornalista presso il «Corriere della Sera» e sulle riviste «Tempo illustrato», «Il Mondo», «Nuova Generazione» e «Paese Sera» è raccolta negli Scritti corsari (1975) e nelle Lettere Luterane (1976).

Pier Paolo Pasolini muore di morte violenta, a Ostia, il 2 novembre 1975.

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Ragazzi di vita (1955) è uno dei due romanzi romani di Pasolini, composto nei primi anni Cinquanta quando egli si è da poco trasferito a Roma da Casarsa, paese d’origine della madre, in Friuli, da dove è fuggito nel 1950 a causa dell’accusa di atti osceni in luogo pubblico e corruzione di minori.
Tra le strade delle borgate romane, che impara a conoscere, incontra i “ragazzi di vita” che diverranno poi i protagonisti delle sue opere: penna e taccuino alla mano lo scrittore prende dunque nota del dialetto, dei modi di dire e della gestualità dei giovani del sottoproletariato raccontando una realtà umana e sociale che presto, si rende conto, andrà rapidamente scomparendo.

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Bibliografia utile:

    • Paolo Martino, Caterina Verbaro (a cura di), Pasolini e le periferie del mondo, Pisa, ETS, 2016

    • Giorgio Nisini, L’unità impossibile. Dinamiche testuali nella narrativa di Pier Paolo Pasolini, Roma, Carocci, 2008

    • Walter Siti, Silvia De Laude (a cura di), Pier Paolo Pasolini. Romanzi e racconti, Milano, Mondadori, 1998

    • Cecilia Spaziani, «Le città e gli uomini non sarebbero mai mutati». La Roma di Pier Paolo Pasolini, in Franco Salvatori (a cura di), L’apporto della Geografia tra rivoluzioni e riforme, Roma, A.Ge.I., 2019, pp. 643-648

    • Cecilia Spaziani, L’Esquilino dei “ragazzi di vita”, in Tiziana Banini (a cura di), Il rione Esquilino di Roma. Letture, rappresentazioni e pratiche di uno spazio urbano polisemico, Roma, Edizioni Nuova Cultura, 2019, pp. 148-151

    • Cecilia Spaziani, «Il mondo davanti agli occhi e non soltanto in cuore». Pasolini e gli spazi urbani, in «Bollettino di Italianistica», n. 1-2, 2020, Roma, Carocci, pp. 351-356

    • Caterina Verbaro, Pasolini. Nel recinto del sacro, Roma, Perrone, 2017

    • Caterina Verbaro, Il paesaggio umano. Procedimenti etnografici e demologici nell’opera di Pasolini, in Alberto Carli, Silvia Cavalli, Davide Savio (a cura di), Letteratura e antropologia. Generi forme e immagini, Pisa, ETS, 2021, pp. 83-98