O Pace, che ciascuno ama, che spera dal primo sole all’ultima giornata, non sei tu pure un’ombra, una chimera a cui dietro gran turba erra affannata? A che cercar sui monti la tua traccia, o in riva al mare, o nel silenzio agreste, a che sperar fra le tue bianche braccia, nel tuo seno un rifugio alle tempeste, se Dante ti cercò, di mondo in mondo esule stanco affaticando il piè, se Fausto per un tuo bacio all’immondo, inutilmente come a Dio, si diè? Più della gloria, più della fortuna nei miei giovani sogni io t’invocai, o Pace… E tu sei simile alla luna, che il sole insegue e non raggiunge mai.
La pace è un sogno irraggiungibile: a questa conclusione sembra approdare Saba con tale affermazione. Qual è invece la tua personale idea di pace? Pensi che debba riferirsi prioritariamente alla dimensione individuale, privata? Oppure ritieni che sia un bene pubblico, ovvero perseguibile soltanto a livello collettivo? Rifletti sul tema ed elabora un breve testo in cui esponi la tua personale tesi in merito, ponendo in risalto la presenza o meno, tra le aspirazioni dei giovani, del tentativo di raggiungere questo obiettivo.
si diè?
La rima con il v. 10 evidenzia la particolare natura prosodica dell’endecasillabo: quale?
inutilmente
L’avverbio, elemento polisillabico che domina il verso, pone in risalto un tema fondamentale sul piano del significato: Faust, che vendette l’anima al diavolo come se fosse stato Dio, aspirò al bacio della Pace, ma non conseguì alcun risultato, ovvero non ottenne il proprio scopo. È davvero così? Che cosa intende dire Saba a tale proposito? Effettua una ricerca sulle diverse declinazioni del mito rilevando la veridicità o meno di tale affermazione. Consigliabile, per una prima ricognizione sul tema, il sito https://www.treccani.it/enciclopedia/faust_(Enciclopedia-dei-ragazzi)/
Fausto per un tuo bacio all’immondo
Quale caratteristica presenta la rima ai vv. 9 e 11? Qual è la sua funzione sul piano espressivo?
di mondo in mondo
A quali mondi fa riferimento l’autore riguardo a Dante? Prova a contestualizzare l’espressione considerando sia i versi in cui figura nel testo, sia la vita e l’opera del grande poeta del Trecento.
A che cercar sui monti la tua traccia,
o in riva...
Istituisci un confronto con il testo (proposto di seguito nella versione audio) dal Canzoniere di Francesco Petrarca: si tratta della celebre canzone Di pensier in pensier, di monte in monte, composta probabilmente nel 1344, in cui l’io lirico esprime il proprio stato d’animo in relazione ai luoghi naturali. Preparati all’ascolto disponendo di supporto cartaceo o digitale su cui annotare i passaggi in cui vengono menzionati gli elementi del paesaggio. Si fornisce il link della lettura da parte dell’attore Giorgio Albertazzi: .
dietro gran turba
La sequenza dietro gran turba erra presenta una evidente figura retorica di suono: quale? Prova a rintracciarne l’occorrenza nei versi precedenti e in tutto il componimento.
Daniela Marro
Daniela Marro (Latina, 1966) è docente presso il Liceo Scientifico "F. Severi" di Frosinone e Cultrice della Materia presso il Dipartimento di Scienze Umane della LUMSA di Roma. Laurea in Lettere nel 1992 presso «La Sapienza» di Roma e Dottorato di Ricerca in Studi Storici di Letteratura Italiana nel 1998 presso «Roma Tre». Tra le sue pubblicazioni: L’officina di D’Arrigo. Giornalismo e critica d’arte alle origini di un caso letterario (Comune di Alì Terme, Messina, 2002); saggi su rivista «Quaderni di Italianistica», «Letteratura & Arte», «L’Illuminista», «Rivista di Studi Italiani») e volumi miscellanei, fra cui Cinema nostrum. Registi, attori e professionisti ciociari del cinema (Teseo, Frosinone, 2010) e La grande magia. Mondo e oltremondo nella narrativa di Giuseppe Occhiato (Studium, Roma, 2015). Negli ultimi anni ha partecipato ai seguenti convegni: Mod nel 2014, 2015, 2017 e 2018, 2021 e 2022 (con contributi agli atti); “Crescere in poesia” presso la LUMSA di Roma nel 2019 e nel 2021. Ha collaborato dal 2011 a tutt’oggi con «O.b.l.i.o.» e dal 2012 al 2019 con Pearson nell’editoria scolastica (apparati e percorsi didattici a corredo dei manuali di letteratura italiana di G. Baldi per Paravia e G. Langella per B. Mondadori; fascicolo A lezione con “Il Corriere” per Paravia). Figura nel gruppo di ricerca e redazione della piattaforma Diletteratura e tra i referenti Mod Scuola per il La
sole
La conclusione del componimento propone nuovamente l’immagine del sole introdotta al v. 2: mentre all’inizio della lirica indica la nascita, qui sembra rappresentare la luce della verità, che invano cerca di rischiarare la pallida e mutevole luna, simbolo (già nella Commedia) di incostanza, a sua volta riconducibile alla natura contradditoria, volubile e chimerica della pace. Si leggano, considerando quanto già espresso a proposito dei rimandi a Petrarca, gli ultimi versi di Vergine bella, che di sol vestita (Rerum vulgarium fragmenta, CCCLXVI, vv. 135-1337): «Raccomandami al tuo figliuol, verace / homo et verace Dio, / ch’accolga ‘l mio spirto ultimo in pace».
t’invocai
Il verso presenta due temi fondanti la poetica di Saba: il sogno, riconducibile all’ambito psicanalitico con tutte le sue implicazioni, e l’autobiografismo, tratto distintivo del Canzoniere. Il pronome personale io, che figura soltanto in questo v. 14, ne costituisce un elemento rivelatore; si osservi anche che è collocato in un endecasillabo dall’articolazione ritmico-sintattica piuttosto audace (sinalefe in sogni io) e dalle componenti foniche interessanti (allitterazione della i).
gloria
Anche l’aspirazione alla gloria poetica rimanda implicitamente a Petrarca, pur essendo collegata al precedente riferimento a Faust.
immondo
Si tratta di Mefistofele, a cui Faust – nella versione originaria del mito - vende la propria anima firmando
con il sangue il contratto.
Nel 1859 il musicista francese Charles-François Gounod (Parigi, 1818-1893) trionfava al Théâtre Lyrique col Faust, il suo capolavoro, poi conosciuto in tutto il mondo.
Fausto
Assai interessante, e meritevole di ulteriori indagini, il riferimento al mito di Faust: il personaggio, simbolo del desiderio di conoscenza, potere e giovinezza, non soltanto figura in altri luoghi dell’opera di Saba (es. nella scorciatoia 54, come indicato dalla nota 23 a p. 6 del saggio di Letizia Magro, cit. in bibliografia), ma è anche al centro di rivisitazioni fondamentali nell’ambito della letteratura europea del secondo Novecento, non escludendo connessioni inedite con simboli della cultura ebraica, e, più in generale, con l’eterno dissidio fra bene e male. Si ricordi, in proposito, il romanzo di Thomas Mann, Doctor Faustus (1947) ambientati nella Germania devastata dalla follia nazista, il cui protagonista – un musicista d’avanguardia – richiama il personaggio di Faust. Secondo le indicazioni fornite dallo stesso Saba in Storia e cronistoria del Canzoniere, l’approccio al mito di Faust potrebbe essere maturato anche attraverso l’appassionata lettura dei libretti d’opera (cfr. Luca Carlo Rossi, Saba e il melodramma? Riflessioni di un lettore in ascolto, Accademia degli Agiati, Rovereto, 12 dicembre 2007).
mondo
Il richiamo al sintagma presente nel sonetto In morte del fratello Giovanni di Ugo Foscolo è evidente: “Un dì, s’io non andrò sempre fuggendo / di gente in gente…” (vv. 1-2). A sua volta, nel testo di Foscolo, si configura come citazione da Catullo (carme 101: «Multas per gentes et multa per aequora vectus / advenio has miseras, frater, ad inferias,», vv. 1-2), ma è noto che i versi del poeta latino furono tradotti da Giuseppe Parini nel 1752 («Per molte genti e molti mar condotto, / o mio germano, finalmente io sono / a queste esequie miserande addotto», Alcune poesie di Ripano Eupilino, carme XXXIV, vv. 1-3), e ripresi da altri poeti del Novecento in traduzioni e rifacimenti. Alcuni esempi dalle antologie scolastiche di letteratura latina maggiormente in uso: Mario Luzi («Per varie genti e mari numerosi / tratto qui a questo rito straziante / sono giunto, fratello, a consolarti», vv. 1-3, in Le campagne, le parole, la luce, Mendrisio, Edizioni Casa Croci, 2014); Giorgio Caproni («Quanto inverno, quanta / neve ho attraversato, Piero, / per venirti a trovare», vv. 1-3, in Atque in perpetuum, frater…, ne Il franco cacciatore, Milano, Garzanti, 1982).
tempeste
La Pace invocata dal poeta è qui personificata: la figura femminile delineata, materna e accogliente, presenta connotati riconducibili alla descrizione di Laura nel Canzoniere, oltre al chiaro riferimento alla metafora del porto, condizione di salvezza e di quiete a cui approda l’anima scampata alle traversie dell’esistenza.
?
L’attacco interrogativo, presente in altri testi di Saba, può essere considerato come riferimento formale alla poesia Giacomo Leopardi. Alcuni esempi dal Canzoniere e dai Canti: «Che succede di te, della tua vita, / mio solo amico, mia pallida sposa?» (L’autunno, vv. 1-2, in Trieste e una donna); «O immaginata a lungo come un mito, / o quasi inesistente, / dove sei tu, ridente / casina, che dal primo verso addito?» (La casa della mia nutrice, vv. 1-4, in Cuor morituro); «Che fai tu, luna, in ciel? Dimmi, che fai, / silenziosa luna?» (Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, vv. 1-2); «Silvia, rimembri ancora / quel tempo della tua vita mortale, / quando beltà splendea / negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi, / e tu, lieta e pensosa, il limitare / di gioventù salivi?» (A Silvia, vv. 1-6).
affannata
Anche in questo caso il richiamo a Dante è scoperto: “qual è / quei che con lena affannata, / uscito fuor del pelago a la riva” (Inferno, I, vv. 21-23). Il vocabolo, così fortemente connotato, tende a porre in risalto la sofferenza insita nella condizione umana. L’insistita intertestualità dantesca, oltre a sottolineare la natura epigonale e premodernista della produzione giovanile, avvalora la tesi espressa da Saba nello scritto Quel che resta da fare ai poeti, proposto al conterraneo Scipio Slataper (8 febbraio 1911), rifiutato da «La Voce» e pubblicato postumo nel 1959 (ora in U. Saba, Tutte le prose, a cura di A. Stara, Milano, Mondadori, 2001): al poeta spetta «un’opera forse più di selezione e di rifacimento che di novissima creazione». Saba spiega infatti chiaramente la natura di questo legame con il passato: «Benché essere originali e ritrovar se stessi siano termini equivalenti, chi non riconosce in pratica che il primo è l'effetto e il secondo la causa; e parte non dal bisogno di riconoscersi ma da uno sfrenato desiderio dell'originalità, per cui non sa rassegnarsi quando occorre a dire anche quello che gli altri hanno detto; non ritroverà mai la sua vera natura, non dirà mai alcunché di inaspettato. Bisogna – non mi si prenda alla lettera – essere originali nostro malgrado. E infatti quali artisti lo sono meno di quelli in cui è visibile lo sforzo per diventarlo?».
erra
Il verbo errare è assai pregnante sul piano semantico e storico-letterario: in Saba rimanda a un lessico petrarchesco (anche in riferimento al sostantivo errore), evidenziando così un certo epigonismo rispetto all’autore del Trecento. Alcuni esempi da Rerum vulgarium fragmenta: «in sul mio primo giovenile errore / quand’era in parte altr’uom da quel ch’i’ sono», I, vv. 3-4; «chiuso gran tempo in questo cieco legno /errai…» (LXXX, vv. 13-14); «Se ‘n altro modo cerca d’esser sacio, / vostro sdegno erra…» (LXXXII, vv. 12-13); «…- In questa spera /sarai ancor meco, se ‘l desir non erra:» (CCCII, vv. 5-6); «che rasserena / il secol pien d’errori oscuri et folti» (CCCLXVI, vv. 44-45). Ma si osservi anche che nell’ambito della cultura ebraica l’erranza è condizione radicale e imprescindibile dell’esistenza stessa, così come il senso di colpa ne rappresenta una componente fondamentale (si veda ad esempio lo studio di Sergio Parussa, cit. in bibliografia).
turba
Il significato di “moltitudine” è qui aderente all’uso che ne fa Dante nella Commedia: utile la consultazione della voce dedicata nell’Enciclopedia Dantesca Treccani: https://www.treccani.it/enciclopedia/turba_(Enciclopedia-Dantesca)/
un’ombra
Il vocabolo è posto in antitesi con sole del verso precedente. L’antitesi, frequente nelle liriche di Petrarca, è una delle figure ricorrenti nella poesia di Saba, trattandosi infatti di un espediente retorico in grado di rendere efficacemente il dissidio interiore. Alcuni esempi da Rerum vulgarium fragmenta (edizione continiana edita da Einaudi nel 1964) e dal Canzoniere di Saba: «Pace non trovo, et non ò da far guerra» (CXXXIV, v. 1); «mille volte il dì moro et mille nasco» (CLXIV, v. 13; «et le cose presenti et le passate / mi dànno guerra, et le future anchòra» (CCLXXII, vv. 3-4); «io ritrovo, passando, l’infinito / nell’umiltà» (Città vecchia, vv. 9-10, in Trieste e una donna); «…in una / delle mie ore più beate e meste» (Berto, vv. 2-3, ne Il piccolo Berto); «a quanti l’odio consuma e l’amore» (Goal, v. 11, in Cinque poesie per il gioco del calcio); «e della vita il doloroso amore» (Ulisse, v. 13, in Mediterranee).
pure
L’avverbio sembra evidenziare il fatto che, oltre alla pace, anche altre aspirazioni e speranze dell’individuo non trovano riscontro nella realtà manifestando la loro inconsistente vanità.
La Pace
Il testo proposto è un’invocazione alla pace: agognata da tutti e dal poeta, cercata ovunque da ogni individuo, anche da Dante Alighieri e da Faust, e mai raggiunta, sembra sfuggente e irraggiungibile persino nei sogni. La lirica si compone di sedici versi regolari (endecasillabi) con rima alternata secondo lo schema ABABCDCDEFEFGHGH. Lo stile risente della formazione da autodidatta di Saba, ovvero dell’influenza dei classici della tradizione italiana (Leopardi) e della predilezione per i grandi autori del Trecento (Petrarca): il testo, dalla forma metrica chiusa, è distante sia dal Simbolismo e dall’estetismo decadente, sia dal frammentismo dei vociani. La prima produzione del poeta (collocata nella Trieste mitteleuropea, ai margini della realtà culturale italiana), rivela infatti chiare tendenze conservatrici, fondandosi prevalentemente su un linguaggio letterario e una cantabilità fuori dal tempo, divenendo espressione del cosiddetto “antinovecentismo”. Soltanto più tardi, a partire dagli anni Venti, in particolare grazie alla rivista fiorentina «Solaria», l’opera di Saba verrà considerata con attenzione via via sempre maggiore per le sue componenti fortemente innovative.
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Umberto Saba nasce a Trieste il 9 marzo 1883: il suo vero cognome, Poli, nel 1910 viene mutato in “Saba”, pseudonimo di ascendenza ebraica. Le origini familiari sono segnate dal trauma, subìto in età infantile, dell’abbandono del padre, Ugo Edoardo Poli, dalla rigida personalità della madre, Felicita Rachele Coen (ebrea di famiglia benestante), e dall’accogliente accudimento della nutrice slovena di religione cattolica Gioseffa Gabrovich (Beppa o Peppa Sabaz). Elementi, questi, che influiranno nel corso della vita anche sulla sua produzione poetica, caratterizzata da semplicità e cantabilità soltanto apparenti, celando infatti il suo verso tensioni e conflitti profondi. I suoi esordi poetici risalgono al 1900, ma il primo libro, Poesie, è del 1911; seguono negli anni: Coi miei occhi (1912), Cose leggere e vaganti (1920), Il Canzoniere (1921; edizione critica a cura di G. Castellani, 1981), Preludio e canzonette (1922), Figure e canti (1926), Preludio e fughe (1928), Tre composizioni (1933), Parole (1934), Ultime cose (1944), poi tutti raccolti nell’edizione definitiva del Canzoniere (1945); e quindi Mediterranee (1947), Uccelli – Quasi un racconto (1951). Dopo alcune esperienze lontano da Trieste (Pisa, Firenze), dall’aprile del 1907 al settembre 1908 presta servizio militare nel Regio Esercito Italiano, dapprima a Firenze, poi a Salerno, dove compone i Versi militari. Nel 1909 sposa con rito ebraico Carolina Wölfler, da cui avrà l’amata figlia Linuccia (1910) e a cui sarà legato per tutta la vita da un rapporto controverso e non esente da periodi di crisi (nel 1945 il poeta vivrà un’intensa e sofferta, seppur breve, relazione con il giovane Federico Almansi). Risale al 1911 il manifesto di poetica Quello che resta da fare ai poeti («ai poeti resta da fare la poesia onesta»), proposto a Scipio Slataper per la «Voce», ma rifiutato dalla rivista e uscito solo postumo. Saba prende parte alla Prima Guerra Mondiale (a Casalmaggiore, Roma e Milano), non interrompendo la sua attività poetica (Poesie scritte durante la guerra). Dal 1929 al 1931 si sottopone a una terapia psicanalitica (con Edoardo Weiss, allievo di Sigmund Freud e tra i primi a introdurre la psicoanalisi in Italia), anch’essa di grande impatto sull’autobiografismo che caratterizza la sua poetica e in particolare Il piccolo Berto (che esce su «Solaria» nel febbraio 1931), opera che segna una fase decisiva di chiarimento interiore. Intellettuale dalla formazione culturale eterogenea e non regolare, fondata sull’alternarsi di studi umanistici e tecnico commerciali e su letture personali (anche da filosofi quali Nietzsche, o da autori nell’ambito della psicanalisi stessa), Saba dirige la libreria antiquaria di sua proprietà a Trieste, città mitteleuropea a cui è profondamente legato. Vi fa ritorno nel 1939 dopo essersene allontanato (a Parigi e a Roma nel 1938), ma è costretto dalle leggi razziali a cedere la propria attività. Nei primi anni di guerra vive fra Trieste e Milano, ospite di Emanuele Almansi, libraio antiquario, padre del giovane Federico; dopo l’8 settembre del 1943 Saba, insieme a Lina e Linuccia, si trasferisce a Firenze, dove rimane per tutto il 1944 (cambiando ben undici domicili); nel gennaio 1945 si trasferisce a Roma, dove trascorre il periodo più felice della sua vita, confortato sia dalla vicinanza di Giacomo Debenedetti, Sandro Penna, Adriano Grande, Renato Guttuso, Guido Piovene, Elsa Morante, sia dall’effetto dei positivi riscontri alla sua attività letteraria. A novembre si trasferisce di nuovo a Milano, ospite degli Almansi, e supportato dai fidati amici Raffaele Mattioli, Vittorio Sereni e Giansiro Ferrata. Nel 1946 ottiene il Premio Viareggio e l’anno seguente rifiuta la proposta di insegnare all’Università di San Paolo, in Brasile, pur soffrendo della difficoltà di trovare un lavoro stabile (la pubblicazione retribuita delle sue poesie e prose e la collaborazione al Corriere della sera sono attività saltuarie). Sostenuto da figure di spicco del panorama italiano, Saba si dedica ininterrottamente alla produzione poetica divenendo, soprattutto a partire dagli anni Cinquanta, poeta esemplare della linea antinovecentista, ovvero distante dai modelli proposti da avanguardie e tardo simbolismo, e fautore di una poesia semplice e onesta, in grado di parlare in modo diretto e franco al lettore. Ma la sua opera, tutt’altro che immediata e lineare, bensì dalla complessa stratigrafia compositiva, è stata indagata a fondo soltanto negli ultimi decenni attraverso le nuove edizioni di tutte le opere, in particolare della versione definitiva del Canzoniere (1961). Nel maggio 1948 fa definitivamente ritorno a Trieste, fatta eccezione per i ricoveri in cliniche (a Roma, Trieste, Gorizia) dovuti al frequente riacutizzarsi della nevrosi, cui fungono da argine, in quegli anni, alcuni importanti riconoscimenti ufficiali. Saba è anche autore di prose fra narrative e liriche: Scorciatoie e raccontini (1946), Ricordi-racconti (1956) e Storia e cronistoria del Canzoniere (1948); Ernesto, romanzo scritto nel 1953 e incompiuto, viene pubblicato postumo (1975). Riguardo all’epistolario di Saba, oltre al carteggio con Pier Antonio Quarantotti Gambini (Il vecchio e il giovane, 1965) e a singoli gruppi di lettere pubblicati sparsamente, è importante ricordare l’edizione a cura di Aldo Marcovecchio, La spada d’amore. Lettere scelte 1902-1957 (1983). Il 25 agosto 1957 Saba muore per infarto nella sua stanza di ospedale a Gorizia; soltanto qualche mese prima era scomparsa Lina a seguito di una grave malattia. Proprio accanto a lei viene sepolto a Trieste, nel cimitero cattolico di Sant’Anna.
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Poesie dell’adolescenza e giovanili (1900-1907) è la raccolta di Saba maggiormente sottoposta a revisione nelle diverse edizioni della sua opera. La Pace figura infatti, in riferimento all’edizione mondadoriana, nel Canzoniere apocrifo, che comprende le cosiddette «poesie rifiutate», ovvero i testi inclusi soltanto nell’indice del Canzoniere del 1921; in questa prima edizione la raccolta era tuttavia denominata Poesie dell’adolescenza. Al di là delle questioni filologiche, si tratta in ogni caso dei primi componimenti del poeta, elaborati dagli anni della formazione e degli studi irregolari (alternati al lavoro in un’impresa commerciale) fino al periodo universitario a Pisa (1903) e al servizio militare (1907). I versi della raccolta ben individuano le principali direttrici su cui si muoverà il poeta negli anni successivi: la dimensione privata, radicata nelle esperienze infantili e rappresentata nella prospettiva di una graduale consapevolezza, la quotidianità, la natura e le stagioni, l’accettazione della sofferenza universale che lo affratella alle altre creature, l’amore e il desiderio di raccontare il romanzo di una vita.
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– Vincenzo Allegrini, L’onda trascorrente. I Canti di Leopardi in Saba, Montale, Sereni e Giudici, Macerata, Quodlibet, 2022
– Mirco Bologna, L’immaginario triestino in Saba: le Promenades dai colli al mare, in «Forum Italicum», vol. 45, n. 1, 2011, pp. 55-79
– Bartolo Calderone, Della visione e dell’enigma. Umberto Saba da Petrarca all’Europa, Acireale, Bonanno, 2011
– Giuseppe Antonio Camerino, Primo Novecento. Con analisi specifiche su Pascoli, d’Annunzio, Saba e Montale, Avellino, Edizioni Sinestesie, 2015
– Alberto Casadei (a cura di), Umberto Saba, ne Il Novecento, Bologna, Il Mulino, 2013, pp. 61-66
– Stefano Carrai, Saba, Roma, Salerno, 2017
– Alessandro Cinquegrani, Il Petrarca di Umberto Saba, in «Quaderni Veneti», 3, 2014, Venezia, Edizioni Ca’ Foscari, pp. 227-234
– Stefano Ghidinelli, Le metamorfosi del diario poetico. Sbarbaro, Ungaretti, Saba, Montale, Trezzano sul Naviglio, Unicopli, 2022
– Letizia Magro, L’autobiografismo diffuso come luogo di auto-definizione: Umberto Saba in scena, in La letteratura degli italiani 4. I letterati e la scena, Atti del XVI Congresso Nazionale Adi, Sassari-Alghero, 19-22 settembre 2012, Guido Baldassarri, Valeria Di Iasio, Paola Pecci, Ester Pietrobon e Franco Tomasi, Roma, Adi editore, 2014, pp. 1-12
– Marzia Minutelli, L’arca di Saba: «i sereni animali che avvicinano a Dio», Firenze, Olschki, 2018
– Marina Paino, La tentazione della leggerezza. Studio di Umberto Saba, Firenze, Olschki, 2009
– Sergio Parussa, I confini materni dell’anima. Note su identità, ebraismo e scrittura nell’opera di Umberto Saba, in Scrittura come libertà, scrittura come testimonianza. Quattro scrittori italiani e l’ebraismo, Ravenna, Giorgio Pozzi Editore, 2011, pp. 53-79.
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– Pasquale Tuscano, L’Europa nella poesia italiana del Novecento: Saba, Ungaretti, Quasimodo e Montale, in «RSEI. Revista de la Sociedad Española de Italianistas», vol. V, 2008, Universidad de Salamanca, pp. 115-125
– https://www.treccani.it/enciclopedia/umberto-saba/
– https://www.treccani.it/enciclopedia/tag/umberto-saba/Dizionario_Biografico/