C’è una zona, proprio sotto il ginocchio dei ragazzini, in cui si compendia l’orrore dei giardinetti: là, dove la pelle è più grigia e più spessa, quasi cotta dagli sfregamenti sull’erba; là, dove la lerceria si è consustanziata nel derma. In quel livido lembo di cuoio si leggono le imprese scomposte di una precoce virilità, l’iscrizione a precisa mafiucola, la disgustosa logica della strada. Il bambino serio e solitario osserva tali strinature e si angoscia; poi sente pronunciare dei nomi intonati al luogo («Il Luca», «L’Alberto») e la sua angoscia si allarga: perché ignora tutto di quegli esseri, tutto all’infuori del fatto che esistono, e che sotto le ginocchia hanno quel grigiore.
I giardinetti! Inospiti lande steppose, e pur si millantano in un vezzeggiativo che al buon ragionare trasmette un’idea di abbindolamento, di chi sa mai quale insidia (altre falsità: le castagne dell’ippocastano, lucide e grosse ma «non buone»: e tu nell’intera esistenza per ognuno di quei frutti mentiti immaginerai una bavosa agonia; la «sabbia» intorno allo scivolo, che pulverulenta non riconosci per tale; la «pista»; i «giochi»; l’orrenda innominabil «gimcana»).
Sulle panchine, aggruppate in fitti conversari, le mamme: la loro vocazione a completarsi l’una nell’altra ti turba, tu che associ l’idea di madre a quella di unicità, e che non sai concepire benevolenza che non sia interna ai confini domestici. A ognuno la sua sola e fatal genitrice: e invece in quei giardini scopri perplesso che possono presentarsi anche in tal forma, le madri, come sociabili insetti. Sovente ti interessano più delle loro creature, così le bordeggi con la tua bicicletta per spiarle da presso. Lavorano a maglia, leggono una rivista dal salgariano nome di «Rakam», tengono, orrore, tengono i calcagni fuori delle scarpe, richiamano un bambino per sfilargli un golfetto. Il loro scalcagnato chiacchiericcio ti nausea, però devi ammettere che senza quella presenza i giardinetti sarebbero un luogo selvaggio: ingrumate l’una con l’altra come anelli di lombrico, le mamme rappresentano una rassicurante garanzia d’ordine e di legalità: davanti a loro nessun manipolo di violenti oserebbe farti cadere dalla bicicletta per saltare a piedi uniti sui raggi delle tue povere ruote irreparabilmente deformandoli, nessun ladro ti sviterebbe via il coperchio del tuo campanello mentre i complici ti tengono fermo, nessun pazzo ti sbrofferebbe addosso l’acqua a ciò ingurgitata dalla fontanella e a ciò trattenuta con intollerabile gargarismo nelle guance rigonfie esplosive… E tuttavia proprio per questa santa tutela le vorresti più austere, quelle mamme, più solennemente comprese della propria sacralità; le vorresti tremende come le Antiche Madri, chtonie come Matres Matutae.
[…]
C’è un posto, ai giardinetti, che pomposamente dicono il chiosco, e che tu preferisci pensare come il baracchino. Lì stanno alcune cose che ti commuovono, come gli struggenti sciroppi delle granite e l’arcaica macchina tritaghiaccio; altre cose che ti irritano profondamente fin dal nome, come le malmostose merendine; altre che ti incuriosiscono da un punto di vista scientifico, come certi spumoncini gialli e rosa e certe spiralette di liquerizia molle.
Frequentare il baracchino è penoso, tanti sono gli acerbi avventori che pretendono di essere serviti senza scendere dalle biciclette o dagli schettini, e tale è l’aura di protervia che spira da quella folla: come se tutti, al momento dell’acquisto, odiosamente pensassero qualcosa del genere: sono le sei e mezza, la vecchia starà già preparando la cena ma chi se n’impipa, io son grande e fo da me per cui ecco, non sfugga, mi rovino l’appetito con questo pasticcio, un pasticcetto proprio inutile, pandispagna e cremettina chimica, solo per capriccio, guardate come mi sto rovinando l’appetito, oh come lo so rovinare! Così tu, che infinita gratitudine porti alla mamma per tutte le minestrine ch’ella ti appronta (tu sei tutte quelle minestrine), e anche un cospicuo senso di colpa, lei lontana nella cucina lontana mentre tu sei lì improduttivo, per cui mai e poi mai le faresti il torto di mangiucchiare qualcosa fuori pasto, tu dunque riesci a patire per le invisibili madri di quegli smaniosi, le pensi ignare, tradite, sperse nei caseggiati, intente ad aprire inutili buste di puré in polvere, onestissime buste al cui confronto il «chiosco» ti appare eticamente, collodianamente mostruoso.
E c’è poi un uso, che accresce quella pena: ed è l’abitudine, fra i circostanti, di rivolgersi al venditore con l’appellativo di «capo». Ehi capo gli dicono con aria vissuta, e quello ammicca corrivo. Tu altrimenti che «signore» non lo hai mai chiamato: sentendoti sempre nel giusto, ma con il disagio di chi fra stranieri sa di non padroneggiarne la lingua.
Tratto da: Michele Mari, Tu, sanguinosa infanzia, Torino, Einaudi, 2009, pp. 39-40; 42-43.
Come si spiega l’atteggiamento complice e accondiscendente del venditore?
Tu altrimenti che «signore» non lo hai mai...
Il punto di vista è sempre quello del bambino – raccontato dall’adulto - che vive con orrore i giochi ai giardinetti, e che non riesce (o non vuole) integrarsi nelle dinamiche di gruppo persino riguardo all’uso della lingua. Ne consegue un forte senso di disagio e di estraneità, confermato dal prosieguo del racconto nel paragrafo successivo: «Via da quel sudamerica, allora, presto… […]» (p. 43).
mostruoso.
Leggi la poesia di Umberto Saba Il carretto del gelato (da Il piccolo Berto) ne IlCanzoniere (in Tutte le poesie, Milano, Mondadori, 1988, p. 418).
Una tragedia infantile adorabile mi si va disegnando.
Ecco il cortile: nel cortile in bianco dipinto e in rosso un carretto. Bambini gli fanno ressa d’intorno: montato uno è sul mozzo della ruota. Io guardo dalla finestra: l’occhialino al punto stesso ha rivolto anche mia madre. «Vedi - mi dice - se tu fossi oggi restato, non dico molto (due ore) a studiare, beata adesso io ti direi: Va’, e prenditi come gli altri uno svago.» Io non rispondo; né pur le dico: ma è vacanza. Sento che a capo in giù cado dalla finestra, giù lungo il muro della casa. E penso, così precipitando: Oh che dolore avrà mia madre! Quando sarò giunto al basso, e morto sarò là trovato! Quanto per me dovrà piangere! E lieto non fui per me, ma per lei, come in piedi rinvenni, a un tratto, alla finestra. Un buono tra i buoni? Un figlio generoso verso la sua colpevole madre? O tra i piccoli mostri, un mostro crudele? La vendetta in sé trovare, così atroce ed abile!
Una tragedia infantile adorabile mi si va disegnando.
Le liriche della raccolta, dedicata ad Edoardo Weiss, risalgono al periodo 1929-1931: in esse Saba attua il recupero memoriale dell’infanzia attraverso l’autoanalisi del se stesso bambino.
Rispondi alle domande svolgendo, laddove richiesto, gli esercizi:
Quale situazione viene rappresentata nella poesia? Riassumila in poche righe o in una breve esposizione orale.
A tuo parere, tale situazione presenta analogie con quella delineata nel brano di Mari? Se sì, quali?
Alcuni termini proposti dal poeta sono presenti anche nel testo narrativo. Individuali e commentali.
collodianamente
L’avverbio suggerisce al lettore un possibile confronto con Le avventure di Pinocchio (1883) di Carlo Collodi, classico della letteratura per l’infanzia e racconto esemplare di formazione. A quale degli episodi del romanzo pensi faccia implicitamente riferimento l’autore a proposito di mostruoso, trasgressione e amore materno?
tu sei tutte quelle minestrine
Quale significato attribuisci all’inciso e, in particolare al termine in corsivo?
e anche un cospicuo senso di colpa
Leggi l’intero passo («Così tu…mostruoso») e spiega da che cosa scaturisce il senso di colpa nei confronti delle madri.
oh come lo so rovinare!
Il passo, sotto forma di monologo interiore, fa emergere le spinte alla trasgressione. Si noti, in particolare, il ricorso ad espressioni colloquiali di registro basso, dal tono denigratorio o provocatorio (la vecchia), i consueti diminutivi (pasticcetto, cremettina) e la presenza di voci che Serianni (https://www.leparoleelecose.it/?p=46626) classifica come toscanismi (chi se n’impipa, son, fo).
Lì stanno alcune cose che ti commuovono, come gli...
Il passo presenta sia elementi riconducibili alla sfera emotiva (commuovono, struggenti, irritano, malmostoso) e cognitiva (incuriosiscono, scientifico), sia elementi che rimandano alla prospettiva infantile (i diminutivi merendine, spumoncini, spiralette). Utile l’accostamento con i tre racconti della sezione Palomar fa la spesa in Palomar di Italo Calvino (Torino, Einaudi, 1983), in cui gli oggetti osservati e interpretati dallo sguardo attento del protagonista sembrano vivere di vita propria e suggerire chiavi di lettura di ogni esperienza possibile. Si leggano, ad esempio, i passi di seguito riportati, in cui istanza conoscitiva e coinvolgimento emotivo convivono sullo stesso piano così come proposto nel brano di Mari: «L’animo di Palomar oscilla tra spinte contrastanti: quella che tende a una conoscenza completa, esaustiva, e potrebbe essere soddisfatta solo assaporando tutte le qualità; o quella che tende a una scelta assoluta, all’identificazione del formaggio che solo è suo, un formaggio che certamente esiste anche se lui ancora non sa riconoscerlo (non sa riconoscersi in esso)» (Il museo dei formaggi, p. 74); «Un sentimento non esclude l’altro: lo stato d’animo di Palomar che fa la fila nella macelleria è insieme di gioia trattenuta e di timore, di desiderio e di rispetto, di preoccupazione egoistica e di compassione universale, lo stato d’animo che forse altri esprimono nella preghiera» (Il marmo e il sangue, p. 79).
Matres Matutae
La voce narrante chiude il paragrafo all’insegna dell’ironia: il bisogno di sentirsi protetto dalle insidie induce il bambino a trasfigurare l’immagine (scomposta in quanto umana) delle madri, e a desiderare l’intervento di antiche divinità italiche. La MaterMatuta, protettrice della fecondità e della nascita, è ritratta infatti in atteggiamento solenne e ieratico (spesso con un infante nel grembo) in numerose sculture.
nessun manipolo di violenti oserebbe farti cadere...
L’elenco delle cattive azioni si configura come summa delle paure infantili che minacciano la serenità dei giochi nei giardinetti. I soggetti delle azioni (violenti, ladro, complici, pazzo) sono enunciati in un crescendo di gravità, con il ricorso a vocaboli fortemente connotati (manipolo); le azioni stesse sono poste in risalto attraverso voci onomatopeiche (sbrofferebbe, gargarismo) e sequenze allitteranti (ingurgitata…gargarismo…guance rigonfie).
come anelli di lombrico
La similitudine ribadisce il concetto-chiave espresso precedentemente: come gli insetti e i lombrichi, le mamme costituiscono una specie da analizzare scientificamente. La voce ingrumate, che sta per “raggrumate”, sottolinea ironicamente un comportamento riscontrabile nel mondo animale.
scalcagnato
Serianni analizza il gioco verbale su calcagno, precedentemente usato in senso proprio, e poi riproposto nella sua accezione traslata con il parasintetico scalcagnare (https://www.leparoleelecose.it/?p=46626).
orrore,
La voce narrante insiste sul concetto di orrore: perché è provocato dall’elemento, apparentemente insignificante, dei «calcagni fuori delle scarpe» delle mamme?
«Rakam»
Il nome della rivista costituisce un elemento utile per contestualizzare gli eventi narrati: viene ancora pubblicata e letta abitualmente dalle donne di oggi? Attraverso le risorse della rete, rintraccia notizie al riguardo e istituisci un confronto con la realtà che ti circonda in situazioni analoghe a quella rappresentata. Prova a considerare anche altri indizi forniti dal brano riguardo ai comportamenti dei protagonisti: le mamme trascorrono il tempo libero lavorando «a maglia», sfilano il «golfetto» ai figli, sono «intente ad aprire inutili buste di puré in polvere», mentre i bambini mangiano «merendine» di «pandispagna e cremettina chimica», utilizzano gli «schettini».
salgariano
Il riferimento a Emilio Salgari ribadisce la prospettiva infantile del racconto accolta dall’io narrante adulto: i giochi ai giardinetti si configurano come una scoperta avventurosa in cui ogni elemento, persino una parola nuova dal suono e dal significato sconosciuti, può determinare stupore e stimolare la fantasia e la memoria delle letture predilette.
Sulla lettura come esperienza fondamentale per lo scrittore e sul valore della letteratura lo stesso Mari:
A ognuno la sua sola e fatal genitrice
L’affermazione è collegata a «tu che associ l’idea di madre a quella di unicità», e suggerisce al lettore una plausibile chiave di lettura psicanalitica: il bambino considera la propria madre – fatal, cioè avuta in sorte – un essere unico, a cui si sente legato da un amore esclusivo, preferibilmente confinato all’ambito familiare e non riferito a un contesto di socializzazione («e che non sai concepire benevolenza che non sia interna ai confini domestici»).
ti turba, tu
L’allitterazione in “t” pone in risalto sia la parola-chiave (turba), sia la seconda persona del pronome personale (ti…tu).
le mamme
Quale effetto produce, sul piano espressivo e in relazione al contenuto, la posposizione del soggetto?
«gimcana»
La classica gara di abilità all’aperto suscita orrore al solo essere nominata attraverso un termine di non facile pronuncia: il primo aggettivo esprime chiaramente il concetto, mentre l’apocope vocalica del secondo, determinando una distanza dalla lingua d’uso (come osserva Serianni in https://www.leparoleelecose.it/?p=46626), sembra conferire un senso ironico all’affermazione nel suo complesso.
immaginerai una bavosa agonia
L’immaginazione fervida dell’infanzia, qui nutrita dalla paura e dal senso di colpa, delinea la scena di un avvelenamento. La voce narrante introduce nel racconto elementi di matrice psicanalitica, ripresi successivamente a proposito di ulteriori spunti di riflessione.
mentiti
Con l’aiuto del dizionario spiega il significato di questo vocabolo e dell’aggettivo «pulverulenta», presente nel periodo successivo, che appartiene sia all’ambito letterario, sia all’ambito scientifico.
Daniela Marro
Daniela Marro (Latina, 1966) è docente presso il Liceo Scientifico "F. Severi" di Frosinone e Cultrice della Materia presso il Dipartimento di Scienze Umane della LUMSA di Roma. Laurea in Lettere nel 1992 presso «La Sapienza» di Roma e Dottorato di Ricerca in Studi Storici di Letteratura Italiana nel 1998 presso «Roma Tre». Tra le sue pubblicazioni: L’officina di D’Arrigo. Giornalismo e critica d’arte alle origini di un caso letterario (Comune di Alì Terme, Messina, 2002); saggi su rivista «Quaderni di Italianistica», «Letteratura & Arte», «L’Illuminista», «Rivista di Studi Italiani») e volumi miscellanei, fra cui Cinema nostrum. Registi, attori e professionisti ciociari del cinema (Teseo, Frosinone, 2010) e La grande magia. Mondo e oltremondo nella narrativa di Giuseppe Occhiato (Studium, Roma, 2015). Negli ultimi anni ha partecipato ai seguenti convegni: Mod nel 2014, 2015, 2017 e 2018, 2021 e 2022 (con contributi agli atti); “Crescere in poesia” presso la LUMSA di Roma nel 2019 e nel 2021. Ha collaborato dal 2011 a tutt’oggi con «O.b.l.i.o.» e dal 2012 al 2019 con Pearson nell’editoria scolastica (apparati e percorsi didattici a corredo dei manuali di letteratura italiana di G. Baldi per Paravia e G. Langella per B. Mondadori; fascicolo A lezione con “Il Corriere” per Paravia). Figura nel gruppo di ricerca e redazione della piattaforma Diletteratura e tra i referenti Mod Scuola per il Lazio.
quale insidia
L’“inganno” dei giardinetti risiede, in primo luogo, nel nome: il vezzeggiativo, di per sé rassicurante, evoca l’idea di un contesto accogliente in cui scenari, presenze e comportamenti finiranno per tradire ogni aspettativa di svago e serenità.
Sull’incanto della parola letteraria lo stesso Mari:
Inospiti lande steppose
La definizione evoca ambientazioni esotiche e avventurose che contrastano con la realtà effettiva del luogo, producendo così nel lettore un effetto ironico.
esseri
Giustifica la scelta lessicale in relazione al contenuto. Prima di rispondere, leggi con attenzione la frase successiva.
la sua angoscia
Il vocabolo, già introdotto sotto forma di voce verbale (si angoscia), ben definisce il tema del racconto: i giardinetti, agli occhi di un bambino non abituato a frequentarli, si configurano come luogo del turbamento perché popolati da coetanei sconosciuti e più smaliziati.
«Il Luca», «L’Alberto»
A quale area geografica si riferisce l’utilizzo dell’articolo determinativo dinanzi al nome proprio di persona?
strinature
La scelta del vocabolo, attestato dal dizionario, risulta coerente con una delle precedenti descrizioni: quale?
la disgustosa logica della strada
L’aggettivo disgustosa rivela il punto di vista adottato dalla voce narrante: quale? Individualo nel passo successivo, considerando anche il fatto che l’autore tende a dare voce a ciò che Serianni definisce «ostentato (e certo, qui come abitualmente in Mari, anche autoironico e grottesco) disprezzo per la massa» (https://www.leparoleelecose.it/?p=46626).
mafiucola
Il vocabolo non è attestato: di quali parole o suffissi si compone? Con quale accezione lo utilizza l’autore? Anche gli aggettivi «inospiti» (riferito più avanti ai giardinetti) e «sociabili» (riferito alle madri dei bambini), non sono di uso comune. Ricostruiscine la formazione o l’etimologia con l’aiuto del dizionario definendone il preciso significato.
le imprese scomposte di una precoce virilità
A che cosa fa riferimento la voce narrante? Considera il contesto della narrazione.
livido lembo di cuoio si leggono
Osserva nel passo l’allitterazione in “l”.
la lerceria si è consustanziata nel derma
La frase presenta l’accostamento di termini appartenenti ad ambiti lessicali differenti (lerceria, consustanziata, derma). Illuminante, in proposito, la definizione dello stile di Mari proposta da Luca Serianni (accolta da uno studio di Davide Serino): «una centrifugazione abilissima tra i registri alti prediletti e gli influssi del polo più basso della lingua, in uno straniante incontro-scontro di aulicismi, popolarismi, latinismi, tratti fumettistici, grecismi, onomatopee, grafie preziose e fonetiche» (https://www.leparoleelecose.it/?p=46626).
si compendia l’orrore dei giardinetti
La voce narrante introduce il tema del racconto focalizzando l’attenzione del lettore su un particolare da cui scaturiscono le osservazioni e le riflessioni proposte di seguito. Considera in tal senso l’efficacia del verbo compendiarsi.
L’orrore dei giardinetti
Il testo, tratto dal quinto racconto del volume, corrisponde ai primi tre paragrafi e al quarto. Dopo aver focalizzato l’attenzione su un particolare apparentemente insignificante (le ginocchia dei ragazzini segnate dalle escoriazioni prodotte dai giochi all’aria aperta), la voce narrante presenta i giardinetti come luogo tutt’altro che ospitale, in cui insidie inaspettate costituiscono una sorta di prova iniziatica per l’età infantile. La vigile presenza delle madri sedute sulle panchine è garanzia di ordine ma fonte di turbamento; anche il chiosco, presso cui i piccoli avventori cedono ai peccati di gola, si configura come invito alla trasgressione. La narrazione, condotta in terza persona attraverso la prospettiva dell’autore, si avvale di uno stile elaborato e di un lessico ricercato.
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Milano, 1955.
Michele Mari insegna letteratura italiana presso l’Università Statale di Milano; la sua attività di critico, filologo e traduttore – incentrata sul Sette-Ottocento italiano e sui classici della tradizione angloamericana (fra cui Orwell, London, Steinbeck, Stevenson, Wells) – si accompagna a quella di scrittore e di collaboratore con quotidiani («Il Corriere della Sera», «La Repubblica», «Il Manifesto»). Nei diversi generi della sua vasta produzione letteraria predilige temi-chiave quali l’infanzia, la giovinezza e la memoria, sviluppandoli con intento autobiografico e con frequenti incursioni nelle varie declinazioni del fantastico; sperimenta uno stile fondato sulla contaminazione e sull’iperletterarietà, adottando una lingua colta, ricercata, e riconducibile, in alcuni casi, alla cifra manieristica o barocca. Tra i romanzi: Di bestia in bestia (Longanesi, 1989, poi Einaudi, 2013), prova d’esordio sul dissidio fra cultura e natura; La stiva e l’abisso(Bompiani, 1992), riflessione sulla scrittura letteraria sotto forma di trama avventurosa; il diario Filologiadell’anfibio(Einaudi, 1995), dedicato alla vita militare; Tutto il ferro della torre Eiffel (Einaudi, 2002, Premio Bagutta), ambientato nella Parigi degli anni Trenta, e Verderame (Einaudi, 2007, Premio Grinzane Cavour), che propone una commistione fra horror e sovrannaturale; la narrazione d’avventura Roderick Duddle (Einaudi, 2024); l’autobiografia Leggenda privata(Einaudi, 2017, Premi Mondello e Brancati nel 2018), disamina seria e giocosa del proprio percorso di formazione. Fra i racconti: Euridice aveva un cane (Bompiani, 1993), in cui convivono rappresentazione del quotidiano e spirito visionario; Tu, sanguinosa infanzia (Mondadori, 1997); Fantasmagonia (Einaudi, 2012) sul demone della letteratura; la narrazione per immagini Asterusher. Autobiografia per feticci realizzata con Francesco Pernigo (Corraini Edizioni, 2015); Le maestose rovine di Sferopoli (Einaudi, 2021), cartografia immaginaria di sogni, ossessioni e divagazioni letterarie. Raccolte poetiche: Cento poesie d’amore a Ladyhawke (Einaudi, 2007), divenuta negli anni un cult, e Dalla cripta(Einaudi, 2019). Nel volume di saggi critici I demoni e la pasta sfoglia (Quiritta, 2004, poi Il Saggiatore, 2017 nella nuova edizione aggiornata), Mari mette a fuoco fondamenti di poetica e referenti letterari della tradizione su cui si innestano dimensione personale e lavoro di scrittore. Pubblica Milano fantasma (EDT, 2008), ritratto della città scritto in collaborazione con l’illustratore Velasco Vitali. I sepolcri illustrati (Portofranco, 2000), raccolta di fumetti realizzati negli anni Settanta ispirati ad Ariosto, Foscolo e Calvino, e Rosso Floyd (Einaudi, 2010), una sorta di opera rock dedicata ai Pink Floyd, attestano alcuni fra i molteplici interessi dell’autore, a cui è particolarmente cara anche la fantascienza.
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Undici racconti tratteggiano il mondo dell’infanzia così come lo concepisce l’autore: non una fase della vita, mitica e innocente, recuperata attraverso la nostalgia per un eden perduto, bensì un universo inquieto, nevrotico, affollato di presenze, oggetti, rituali, fantasie, a tratti percorso da violenza e orrore. Mari dà voce al personale ricordo di un’età misteriosa e straziante con grande capacità di penetrazione psicologica e sottile umorismo, ma soprattutto con uno stile immaginifico e colto, improntato alla lezione di amati referenti letterari della tradizione (Stevenson, London, Poe, Melville).
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Gualberto Alvino, Inchiesta sul romanzo, in «Avanguardia», XI, 31, 2006, pp. 27-60.
Emiliano Ceresi, Esempi di antichizzazione nel romanzo contemporaneo: Bufalino, Eco, Mari, tesi magistrale inedita (Università “La Sapienza” di Roma, 2019, relatore Matteo Motolese).
Riccardo Donati, Andrea Gialloreto, Fabio Pierangeli (a cura di), La letteratura è ossessione. Tredici voci per Michele Mari, Roma, Studium, 2023.
Michele Mari, Il demone della letterarietà, in Valeria Della Valle (a cura di), Accademia degli Scrausi, Parola di scrittore. La lingua della narrativa italiana dagli anni Settanta a oggi, Roma, Minimum fax, 1997, pp. 159-164.
Luigi Matt, Romolo e Remo in borgata: un racconto romanesco di Michele Mari, in G. Vaccaro (a cura di), Marcello 7.0. Studi in onore di Marcello Teodonio, Roma, Il cubo, 2019, pp. 353-361.
Carlo Mazza Galanti, Michele Mari, Firenze, Cadmo, 2011.
Sara Moccia, Il sonetto continuo. Storia di un genere metrico da Giacomo da Lentini a Michele Mari, Padova, CLEUP, 2020.
Lucilla Pizzoli, Danilo Poggiogalli, Il caos ordinato della prosa di Michele Mari, in Valeria Della Valle (a cura di), Accademia degli Scrausi, Parola di scrittore, cit., pp. 141-147.
Luca Serianni, Antico e moderno nella prosa di Michele Mari, in Valeria Della Valle (a cura di), Accademia degli Scrausi, Parola di scrittore, cit., pp. 148-158.
Davide Serino, La lingua di Michele Mari, tesi magistrale inedita (Università “La Sapienza” di Roma, 2013, relatore Luca Serianni).